Sembra di vederlo, chino sulla piccola scrivania macchiata di inchiostro, nell'amata casa di via Morone 1, all’angolo con piazza Belgioioso. Acquistò la casa nel 1813, al ritorno da Parigi, e vi abitò per sessant’anni fino alla morte, sopraggiunta nel maggio del 1873. Da questa storica dimora, oggi sede del museo, prende il via l’itinerario «Alessandro Manzoni ci racconta...» organizzato questo pomeriggio dall’associazione culturale Neiade: un viaggio nel cuore della città che rende omaggio al più grande scrittore di tutti i tempi attraverso i luoghi milanesi a lui cari (ore 15, prenotazione obbligatoria allo 02-36565694, 393-9440207, euro 10). «Ripercorrere la vita del Manzoni - spiegano gli organizzatori - è una nuova prospettiva con cui riscoprire il centro di Milano. Tutti abbiamo letto le sue opere, ma non tutti conoscono la biografia e la personalità di intellettuale attivo nella vita pubblica. Un uomo indissolubilmente legato alla storia della città».
Una storia che comincia nel palazzo settecentesco di via Visconti di Modrone, al civico 16: è qui che lo scrittore, figlio di Pietro Manzoni e Giulia Beccaria, vide la luce il 7 marzo 1785. Quand’era ancora un bambino, i genitori si separarono e la madre si trasferì a Parigi con il suo nuovo amore, il conte Carlo Imbonati. Così il piccolo Alessandro trascorse l’infanzia e la prima giovinezza in collegio, prima dai padri Somaschi, poi dai Barnabiti a Milano. In via Morone si trasferì dopo il matrimonio con Enrichetta Blondel, dalla quale ebbe dieci figli. Nel silenzio del suo studio milanese, lo scrittore portò a compimento gli «Inni Sacri», compose «Il Cinque Maggio» e le pagine immortali di Renzo e Lucia, che lo tennero occupato per cinque lunghi inverni. Poi le vicende private ebbero il sopravvento: dalla morte della moglie e di alcuni dei figli, alle nuove nozze con Teresa Stampa Borri, agli attacchi di ansia e nevrosi che lo tormentavano giorno e notte, costringendolo alla solitudine. Oggi la palazzina, donata al Comune nel 1937, è sede del Centro Studi Manzoniani, che negli anni ‘60 curò i restauri dell’appartamento. Durante la visita alla casa, che conserva gli arredi originali e oltre 24mila manoscritti ed edizioni rare, si potranno ammirare gli ambienti dove l’autore trascorreva le giornate. Dallo studio al pian terreno, con la vasta libreria e il tavolino da scrittura; al salotto al primo piano dove, i primi tempi, si ritrovavano a ragionare di politica e letteratura gli amici Giovanni Berchet, Vincenzo Monti, Carlo Porta, Tommaso Grossi (che fu ospite del Manzoni per qualche anno, e tuttora una stanza porta il suo nome); fino al letto dove il Manzoni esalò l’ultimo respiro, il 22 maggio 1873. E poi ritratti, cimeli, documenti, oggetti personali, come la prima copia stampata dei «Promessi Sposi», o la cartella rossa con impresso il cognome del nonno, il giurista Cesare Beccaria.
L’itinerario prosegue alla scoperta della chiesa di San Fedele, nell’omonima piazzetta, a pochi passi dalla Scala. Piccolo gioiello dell’architettura della Controriforma, costruito per volere di Carlo Borromeo, San Fedele era il luogo dove lo scrittore amava raccogliersi in preghiera e meditare. E se a ricordarcelo non bastasse la statua a lui intitolata al centro della piazza, all’interno della chiesa una targa commemora la sua ultima comunione. Poi l’incidente fatale: una mattina del 6 gennaio 1873, mentre si recava a messa, Manzoni scivolò sulla scalinata che precede l’ingresso, battendo la testa. Ematoma subdurale da trauma cranico, questa la diagnosi. Da quel giorno smise di uscire di casa e cominciò a confondere nomi, fatti, luoghi. Si spense pochi mesi dopo, di meningite, all'età di 88 anni.
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