Cultura e Spettacoli

Addio mappe e atlanti geografici. Erano lo stradario della fantasia

Google maps, cellulari e navigatori hanno sostituito carte e mappamondi. Risultato? Non sappiamo più dove siamo

Addio mappe e atlanti geografici. Erano lo stradario della fantasia

Passo, a Milano, davanti al glorioso palazzo del Touring Club Italiano, e vedo che lo stanno ristrutturando. La vecchia bellissima libreria ha chiuso. E io provo una tristezza improvvisa, profonda, che ha radici antiche.

Quando i miei occhi si aprirono a questo mondo nessuno parlava di spazi personali o di spazi politici: lo spazio era il cielo, e la conquista dello spazio il grande sogno dell'umanità (esisteva anche questa parola, dov'è finita?). Le immagini sfuocate trasmesse dalla tv in bianco e nero, che ritraevano la terra vista da Gagarin, offrivano a un bambino fantasie senza limiti. Parole come «sputnik» o «telestar» mettevano già da sole il desiderio di esplorare l'universo. L'immensità dello spazio non dava sgomento, la scienza era con noi. E il tempo, ossia il domani, ci si spalancava davanti, e noi non vedevamo l'ora di esserci.

Era l'epoca degli atlanti geografici. Oggi la geografia è più importante che mai, la geopolitica domina le decisioni dei potenti, e la geolocalizzazione è aspetto fondamentale di qualunque atto di controllo del territorio. Stabilire da dove vengano una voce, un'immagine fluttuanti nell'etere o nello spazio informatico è di vitale importanza affinché il mondo, come diceva Amleto, non deragli.

Eppure gli atlanti geografici (e con essi le carte geografiche, le mappe cittadine e quelle stradali, e i globi tridimensionali impropriamente detti «mappamondi») stanno uscendo dall'uso collettivo. Da bambini noi sessantenni di adesso giocavamo facendo girare il globo e poi fermandolo in un punto a caso. Scoprii così l'esistenza di posti come lo Zambia, la Bolivia e l'Arabia Saudita.

Con Google Maps e altri dispositivi similari è cambiato il modo di considerare lo spaziotempo, il movimento - vero o immaginario - del nostro corpo da un punto «A» a un punto «B». Tu imp3osti la tua richiesta e loro calcolano tempi, percorsi (anche alternativi), chilometraggio, eventuali pedaggi autostradali.

Ma tutto quello che sta intorno non esiste più. È piombato fuori dal nostro campo conoscitivo.

Guardare una carta geografica o stradale significa tante cose. Significa naturalmente sapere dove si trova esattamente, rispetto a me, un certo luogo, ma significa anche compiere vere e proprie esplorazioni con gli occhi: scoprire per esempio che due città che credevamo lontane sono vicinissime; oppure un borgo sconosciuto di cui abbiamo sentito parlare bene, o il cui nome ci piace e ci fa desiderare solo per questo di andarci; o sorprendere il percorso di un fiume e dedurre dai suoi movimenti la forma del paesaggio circostante. Significa andare da qualche parte non per un motivo preciso ma così, per il puro piacere di andarci e scoprire solo poi il motivo.

Il mio incontro con Barcellona avvenne, per esempio, attraverso la mappa della città pubblicata su una guida TCI. Erano i primi Anni Ottanta e non venivo ancora raggiunto da un milione di immagini ogni nanosecondo, per cui, lo ammetto, prima di aver visto un solo panorama in cartolina di quella città me ne ero già innamorato grazie alla sua planimetria.

Capisco che, in un pianeta abitato da quasi otto miliardi di persone, è meglio fissare bene i propri obiettivi prima di muoversi, e forse anche per questo, chissà, la fantasia - elemento indispensabile per una coscienza completa dello spazio - è poco incoraggiata da chi non solo possiede ancora le mappe ma le perfeziona di giorno in giorno.

Ma il tramonto degli atlanti, delle cartine e delle mappe porterà piano piano a una perdita del senso dell'orientamento, visto che per capire dove siamo, quale punto dello spazio occupiamo basterà interrogare uno smartphone, e noi perderemo l'abitudine fondamentale di stabilirlo da soli. È come avere i denti e non sapere più come si fa a masticare.

Il disorientamento culturale politico e morale che stiamo soffrendo (non faccio esempi, non servono) è insomma prima di tutto un disorientamento fisico. Senza orientamento non esitsono più luoghi, non esistono più il «qui» e il «là», e il mondo diventa un po' meno abitabile, perché abitare vuol dire proprio questo: sapere cosa c'è dietro, cosa c'è davanti, cosa c'è a destra e cosa a sinistra.

Siamo così smart, così iperconnessi che quando dimentichiamo a casa lo smartphone ci sentiamo come bambini perduti in un bosco.

Scriveva il grande I. B. Singer in un suo racconto newyorkese degli anni Sessanta, Il dottor Beeber: «L'Homo Sapiens diventerà così intelligente che non saprà più procreare, mangiare, o andare di corpo. Dovrà persino imparare a morire».

Il tramonto degli atlanti e delle carte geo o topografiche, delle mappe urbane, di quelle stradali e quant'altro ci rivela che siamo sulla strada giusta.

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