«Nessuno più ricorda chi vinse la maratona alle Olimpiadi di Londra del 1908. Tutto il mondo ricorda chi le perse». Si direbbe invidia, se non fosse - invece - orgoglio. Lo stesso che idealmente lega Dorando Pietri allunico italiano che (assieme a Gelindo Bordin) una maratona olimpica labbia vinta davvero. Unimpresa storica. Ad Atene, nel 2004, sugli autentici, leggendari 42 e rotti chilometri che distano da Maratona. Stefano Baldini. Il suo nome è rimasto impresso nella leggenda.
Ma per un maratoneta doggi il nome di Dorando Pietri conta ancora qualcosa?
«Più che mai! Lo sport è fatto anche di questo: di miti, di eroi, di leggende. Io stesso sono un ammiratore di Pietri fin da quandero un ragazzo, e la maratona era per me solo un lontanissimo sogno. Così come mi fu inevitabile pensare a lui, quando vinsi le olimpiadi e in qualche modo ne vendicai la famosa squalifica».
Eppure oggi è tutto cambiato. Allenamenti ipertecnologici, doping supersofisticato, sponsor ultrainvadenti... Conserva ancora, la maratona, il suo drammatico fascino?
«Ancora».
Ad esempio?
Pensi a quel che accadde a Los Angeles, nel 1984, quando la svizzera Gabriela Andersen entrò nello stadio stremata e barcollante, esattamente come Pietri. Non era nessuno, non arrivò neppure fra i primi; eppure il pubblico fu tutto, immediatamente, dalla sua parte. E ancor oggi la ricordiamo. Solo una cosa nel frattempo è cambiata: lei, a differenza di Pietri, tenne lontano i giudici perché non laiutassero».
E fiction come Il sogno del maratoneta possono contribuire a restituire allo sport il suo alone romantico?
«Il romanticismo nello sport resiste solo a livello olimpico. Per il resto siamo diventati tutti più cinici. Certo: quella di Pietri è una storia bellissima. Ma credo che maggior effetto farebbe un fiction su un campione doggi. Come Carl Lewis: più vicino all'immaginazione dei giovani del 2000».
E lopinione pubblica, oggi, reagirebbe con altrettanta partecipazione verso un «perdente di successo»?
«Beh: nella maratona che io vinsi ad Atene il brasiliano De Lima, che era in testa, venne squalificato perché intralciato da uno spettatore, arrivando terzo. Guarda che sei fortunato - gli dissi -. Sei la medaglia di bronzo più famosa di questi Giochi, in una gara che non avresti mai potuto vincere. Perché lho vinta io».PS
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