da Cannes
Nell’America del proibizionismo e della Grande Depressione, i tre fratelli Bondurant vogliono continuare a fare quello che hanno sempre fatto. Distillare, da qualsiasi cosa, patate come granturco, mele come legno, ricavarne whisky, venderlo. Accettano lo Stato, tanto è vero che i due maggiori sono andati in guerra, la Grande guerra che avrebbe dovuto portare la pace e la prosperità, e ne sono tornati vivi, gli unici superstiti della loro compagnia; accettano che lo Stato non sia in grado di curarli, l’epidemia «Spagnola», che ha devastato il Paese, ma che loro hanno battuto: non accettano però che lo Stato si immischi nelle loro quotidianità. Fabbricano whisky, come famiglia, da generazioni e a Franklin, in Virginia, «la contea più umida del mondo», alla sera le colline si illuminano per i fuochi delle distillerie contadine. Che cosa c’entra lo Stato in tutto questo, e se non sa far comunque rispettare il suo volere, perché permette che funzionari corrotti, giustizia, politica, forze dell’ordine, ci si arricchiscano attraverso mazzette, taglieggiamenti, accordi con la malavita organizzata? I Bondurant non sono dei fuorilegge, non accettano quella legge. È un’altra cosa.
Lawless, Senza legge, appunto, è il film di John Hillcoat (The Proposition, Leone d’oro a Venezia con La strada, dal romanzo di Norman McCarthy) in concorso ieri a Cannes, una gangster story con le movenze del western, un cast di prim’ordine. Shia LaBoeuf (Tranformers, Indiana Jones e il teschio di cristallo), nel ruolo del fratello più piccolo, Jack; Tom Hardy (Inception, Target, La Talpa), in quello di Forrest, il capofamiglia nonostante sia il figlio cadetto; Jason Clarke (Killing Fields, Nemico pubblico numero uno) alias Howard, il fratello maggiore; la meravigliosa Jessica Chastain (The Tree of Life, Wilde-Salomè), nella parte di Maggie, la donna che entrerà nella vita di Forrest. Un cameo di Gary Oldman nelle vesti del gangster Floyd Benner, vale per certi versi tutto il film, mentre è Guy Pierce (Priscilla, L.A. Confidential, Il discorso del Re) a disegnare i contorni di Charlie Rakes, poliziotto e insieme criminale, psicopatico dalla personalità ripugnante.
Si dirà che è un film di genere, di quelli che, per citare Nanni Moretti, «si vedono cinquantamila volte», ma qui vale la pena d aggiungere l’etichetta di classico, dandole il senso che lo stesso Hillcoat utilizza: «Classico non vuol dire non originale. Oggi per me è più conservatore chi si rifà ai generi usando lo stile videoclip più popcorn. Io sono sempre stato un fan di Jean Pierre Melville, e naturalmente di John Ford. Classico vuol dire per me semplicità, disciplina e quel tocco in più che permette di reinventare. Leone, Peckinpah, non sono forse dei classici? Eppure hanno innovato».
Lawless è una bella storia di psicologie e di legami familiari, sullo sfondo di un’epoca in cui i pionieri, la frontiera e il suo mito sono un ricordo e una nuova America è ormai nata, con gli Al Capone al posto dei fratelli James. La sua ambientazione non cittadina, rimanda a Bonnie&Clyde di Arthur Penn, ma mentre qui era in questione la rivolta e la giovinezza, nel film di Hillcoat si respira ancora la tradizione di un’America profonda, fatta di poche regole semplici, come onore e coraggio, e di una sorta di sentimento di invincibilità, un substrato quasi atemporale che nel film è messo ancor più in evidenza dalla cura maniacale per abiti, arredamenti, utensili, che fotografano un’epoca come se non fosse mai trascorsa.
Dice il regista che, volendo, è comunque possibile trovare dei punti di contatto fra quel tempo e oggi: «La crisi economica, naturalmente, lo squilibrio incredibile fra ricchi e poveri, la corruzione e l’idea di essere sottomessi a un potere invisibile, l’ingerenza ossessiva dello Stato nell’ambito individuale». È che i Bondurant non sono più quelli d un tempo.
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