Un appuntamento rimandato, come di questi tempi accade spesso. Forever, il primo album da solista di Francesco Bianconi, leader e chitarrista dei Baustelle, era atteso per aprile scorso. Il destino però non lo puoi prevedere, figuriamoci una pandemia: dunque, ora che finalmente è tra noi (esce domani), il titolo di questo lavoro «minimale e puro» (parole del suo autore) se ne sta lì, provocatorio e quasi catartico. Con una formula che si fa beffe del prima e del dopo, di imprevisti e ritardi. Per sempre, appunto.
Un artificio artistico, perché il tempo le sue regole le ha, eccome. Basta ascoltare Bianconi, in questo slalom tra categorie, per l'appunto, temporali: «Tutto era pronto in primavera spiega e vedere congelata ogni cosa mi ha quasi shockato. Perché questo disco l'ho vissuto con la stessa intensità emotiva del mio primo in carriera». E poi: «Se il lockdown mi avesse colto durante la scrittura, forse avrei rinunciato a farlo». Sa di bugia, però, perché l'urgenza del lavoro si percepisce: «Non potevo che realizzarlo ora. prosegue Bianconi . È un disco che rispecchia il quasi cinquantenne che sono, e cioè un uomo che si gode il cambiamento: sono più forte, più coraggioso e più nudo».
Tutto vero: Forever è un album, ricco di dieci brani volutamente spogli, ottimamente suonato da artisti come il Balanescu Quartet e il pianista Thomas Bartlett, con la produzione di Amedeo Pace dei Blonde Redhead , dominato dalla voce di Bianconi (talvolta in duetto con colleghi come Rufus Wainwright, Eleanor Friedberger, Kazu Makino dei Blonde Redhead e la marocchina Hindi Zahra) che rivela sincerità ma anche crudezza. Nelle parole e nei messaggi.
Qualcuno, a dire il vero, ha urticato qualche dirigente di etichetta major, dato che nel brano Certi uomini Bianconi va dritto al bersaglio, evocando (andiamo dritti al concetto) «cantanti che ucciderebbero per apparire in un programma in televisione dove i discografici morti della Warner, della Universal e della Sony, poi gli pubblicano la canzone». «Il messaggio era riferito più alla mia categoria, agli artisti è la difesa non troppo granitica del cantautore di Montepulciano (adottato da Milano) -. E anch'io non mi tiro fuori da tutto questo: per fare musica serve, insieme alla creatività, una buona dose di narcisismo e la disponibilità a qualche compromesso». Saggezza dell'età la chiama lui, anche perché «come dice Battiato la gioventù passa e forse è un bene. A vent'anni si è proprio stupidi, manca la coscienza di potersi godere la vita da giovani».
Dopo la musica scritta, suonata e confezionata in studio, ora tocca a quella dal vivo: «Le incognite sono molte, vorrei fare concerti per marzo 2021, sperando nelle giuste
capienze dei teatri. Magari, prima, mi accontenterei di set leggeri, piano e voce». Intanto l'instore tour: il 17 ottobre il via dal Cap10100 di Torino, 27 ottobre a Roma al Monk, 6 novembre chiusura al Santeria di Milano.
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