Cannibali, diavoli e rubini Le mille e una... isola

Un'antologia di autori arabi medievali: ecco come mercanti, viaggiatori e compilatori di mappe vedevano le terre sparse sui mari... Tra scimmie e granchi pietrificati, tra realtà e immaginazione

Stenio Solinas

L'Isola della Testuggine e quella dei Granchi pietrificati, l'Isola delle Donne e quella delle Scimmie, l'Isola delle Diavolesse, dei rubini, e quella dei due Fratelli incantatori, l'Isola del Frastuono, della Ragione, delle Fanciulle... Dal Mare Abbracciante al Mar delle Tenebre, ovvero l'estremo Occidente e l'estremo Oriente, piccoli universi dai confini ambigui si mischiano ai suoi abitanti dai tratti indimenticabili, umani e animaleschi: cannibali e uccelli rapaci e vendicativi, terribili quadrumani e esseri androgini... E naturalmente ricchezze materiali e luoghi paradisiaci da dove è doloroso allontanarsi, da dove veramente partire è un po' morire...

Fra il IX e il XV secolo, su quello che è un itinerario raccontato e/o vissuto, reale e/o immaginario, mercanti, viaggiatori, marinai e sedentari compilatori di opere geografiche mettono insieme un corpus letterario che salda il mondo musulmano, dall'Irak alla Persia, dal Marocco alla Spagna ancora al-Andalus, nel nome del meraviglioso. Il risultato è l'Isolario arabo medioevale (Adelphi, pagg. 340, euro 22) che Angelo Arioli mette insieme con sapiente erudizione, brillantezza di stile e giusta ironia, una sorta di festa mobile araba dove l'improbabile mercante Sulayman e il capitan Buzurg si danno il cambio con Ibn Battuta e al-Idrisi e tutti insieme hanno in fondo il loro compendio in quel fantastico Sindbad delle Mille e una notte, l'eroe di molteplici viaggi avventurosi che ogni volta giura di non ripartire più e ogni volta non sa resistere al demone di vedere il mondo.

Dieci sono gli autori che Arioli seleziona per il suo Isolario, di molti dei quali «si sa ben poco, di alcuni si dubita che siano esistiti, mentre i più fortunati, quelli dalle biografie meno sfuggenti, sono stati vittime di pastiches filologici che gettano ombre consistenti sulla paternità delle opere loro ascritte». Ma già sul termine «autore», Arioli invita a diffidare, perché per il mondo arabo è più attinente la parola «compilatore», colui cioè che assortisce, mette assieme, classifica. È la variante letteraria di un modello religioso dove a un testo sacro già scritto, il Corano, fa pendant chi lo trasmette, il Profeta, e le stesse Mille e una notte non derogano da questo canone: Sharazàd non inventa mai le storie che narra, si limita a trasmetterle, a relazionare chi ascolta. Eppure, forse, come ha scritto Reynold A. Nicholson nella sua A Literary History of the Arabs, «selezionare è più difficile che comporre», nel senso che ogni scelta in un universo testuale, oralità inclusa, preesistente, vuol dire individuare e rivendicare, imprimere per certi versi un marchio di individualità. Come aggiunge Arioli, «se veramente il mondo è un libro... probabilmente, per ciascuno di noi, è un'antologia».

Costruito con sapienza artigianale, Isolario arabo medioevale fa seguire a una prima parte, intitolata «Autori e isole», una seconda, «Commenti», che illustra i singoli brani, a volte raggruppati per tema, evitando così felicemente quello che l'autore definisce «il flagello delle note». In essa il lettore troverà notizie, informazioni, identificazioni con luoghi geografici reali, in grado così di ricondurre l'apparente sconfinata fantasia nel più prosaico, ma convincente recinto del vero. Per fare un paio di esempi, l'Isola delle Scimmie descritta da capitan Buzurg, sarebbe l'arcipelago Kuria-Muria, di fronte alle coste dell'Oman, mentre l'Isola di Binman del racconto di al-Qazwini corrisponderebbe a Nias, a nord delle coste di Sumatra...

Fra gli autori selezionati da Artioli, il più interessante ci sembra al-Idrisi. Nacque a Ceuta, nell'Africa del Nord, visse fra il 1100 e il 1165, fu alla corte di Ruggero II, re normanno di Sicilia, gli costruì un planisfero d'argento e, stando alle fonti arabe, il monarca lo invitò a restare presso di lui perché «siccome tu sei della famiglia dei califfi, se abiti in un paese musulmano il sovrano ti detesterà, e procurerà di ucciderti». Sempre il re gli mise a disposizione, per «una descrizione della terra fatta tramite diretta osservazione e non seguendo i libri», un gruppo «di acuti osservatori e disegnatori» che girarono il mondo per suo conto e dalle cui relazioni al-Idrisi trasse gli elementi per la sua opera, Il Libro di Ruggero. Come commenta Artioli, «l'immagine del sovrano cristiano e del dotto musulmano sordi, per amor di scienza, al fracasso di spade e scimitarre nella santa terra di Palestina, e dimentichi, tra mappe e relazioni di viaggi, delle pretestuose sarabande attorno al Santo Sepolcro, rende onore all'uno e all'altro, lasciando intravedere uno spirito di tolleranza spesso sottaciuto, e di certo storicamente più probabile dell'aneddoto che non volendo lo contiene».

Fra le isole, la mia preferenza va a quella delle Figlie dell'Acqua, raccontata da Ibn Wasil Sah, rigogliosa per alberi e fiumi d'acqua dolce, abitata da creature marine simili a donne «di bel sembiante, capelli fluenti, seni e vulve possenti». Qui, due marinai che vi hanno fatto naufragio, stuprano due meravigliose fanciulle, eppure l'episodio di violenza ha un finale gentile: una di esse, fuggita al suo aggressore tuffandosi in mare, «all'indomani gli riapparve e gli lanciò una conchiglia. Dentro c'era una perla preziosa».

Come scrive Arioli, «quell'ultimo gesto lascia intendere che al di là della violenza, o d'una comunicazione veicolata dalla violenza, rimanga qualcosa che trascende il crudo episodio. Ed è dalla donna che quel gesto proviene».

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