Un carcere fuori controllo dove "il Re" è Zingaretti

L'attore su Sky Atlantic: "Nel mio ruolo perdo la testa come il famoso generale Kurtz in Apocalypse Now"

Un carcere fuori controllo dove "il Re" è  Zingaretti

Dimenticate Montalbano. Non perché lui lo rinneghi o ne prenda le distanze o non lo voglia mai più interpretare («Chissà, magari, tra dieci anni...»). Ma perché Luca Zingaretti in questa nuova serie di Sky concentra tutto il suo desiderio di fare altro, di togliersi quella maschera e mettere un punto al ventennio del Commissario più famoso d'Italia per dare respiro a nuovi ruoli. E gli riesce proprio bene. Zingaretti non ha nulla da dimostrare a nessuno, ma bisogna dire che ne Il re offre una prova di grande efficacia e potenza. Ancora più matura di quella a cui ci ha abituato negli episodi tratti dai libri di Camilleri. In onda da domani su Sky Atlantic in otto episodi diretti da Giuseppe Gagliardi e prodotta da Lorenzo Mieli per The Apartment, la fiction è un «prison drama» di grande qualità: racconta la storia estrema del direttore di un carcere di frontiera che si erge a sovrano assoluto del suo istituto, dove regna la sua legge e non quella dello Stato. Lui, appunto, è «Il re» del penitenziario e i detenuti vengono trattati a seconda delle sue regole.

«Il mio personaggio - spiega Zingaretti - è un uomo che si sente superiore alla giustizia, che non crede più nella legge di uno Stato che si limita a considerare il reato senza capire cosa c'è dietro, che come il generale Kurtz in Apocalypse Now perde il controllo. Lui pensa che il suo sia un lavoro sporco, tenere a bada i detenuti, ma che qualcuno lo debba fare». Il direttore del carcere, di nome Bruno Testori, usa mezzi violenti, permette che circoli la droga, ne fa uso lui stesso. Non è un malvagio assoluto, ma un uomo dalle diverse sfaccettature: tenero con ex moglie e figlia, spietato nel mantenere l'ordine. Quando in carcere viene ucciso il capo delle guardie, suo miglior amico, non collabora con i magistrati ma si vuole fare giustizia da solo.

Insomma per Zingaretti un ruolo complesso, difficile, particolare, che lo ha molto intrigato. «Una grande sfida per un attore. Una prova in cui ho cercato di cogliere le sfumature. La bellezza di questa serie è proprio nello scansare i cliché, nel porsi domande».

Un ruolo antitetico a quello dell'eroe buono Montalbano che pure ha un'idea tutta sua della giustizia e della legge. «Ma i due personaggi non sono paragonabili, si muovono in due mondi diversi: Montalbano in quello della commedia dell'arte, della favola, mentre Testori nel mondo reale, in situazioni che rispecchiano in parte la situazione delle carceri in Italia». Infatti per documentarsi attori e sceneggiatori hanno visitato penitenziari e incontrato detenuti ed esperti. Nella serie si affronta anche la questione della convivenza dei prigionieri di religione islamica, della pratica della loro fede e delle possibili infiltrazioni terroristiche.

Insomma, uno sguardo lontano dai canoni del politicamente corretto. «Proprio così, non se ne può più del pensiero dominante. Non si può più dire nulla, c'è sempre qualcuno che si offende o che trova da ridire. È giusto stare attenti, però la vita è complessa e si perde la ricchezza del ragionamento». Anche in questi momenti in cui c'è una guerra alle nostre porte? «Sì, ma prima di fare qualsiasi considerazione bisogna fermare la guerra, poi ci si siede intorno a un tavolo a fare i distinguo e a capire le ragioni».

Zingaretti, marito (di Luisa Ranieri), padre (di due ragazze) e cittadino esemplare, ce l'ha qualche tratto oscuro, cattivo come quelli del suo nuovo personaggio? «Io non ho mai fatto male a nessuno - risponde sorridendo - magari qualche volta da ragazzino ho fatto male a me stesso... Tra i miei lati nascosti c'è la malinconia ma non rientra nella categoria cattiveria».

Ora che l'attore si è tolto la maschera del Commissario, vuole continuare con altri progetti, anche da regista, ritagliandosi piccole parti in film da lui diretti. Però non esclude totalmente di rimettersi i panni di Montalbano. Anche perché la Rai sta pensando a come concludere la saga nonostante il suo rifiuto. «Se dicessi che non lo rifarei mai più direi una bugia. Ma in questo momento non rientra nel mio orizzonte. Poi se fra dieci anni mi tornasse la voglia e ci fossero le condizioni magari... E poi bisogna vedere cosa fare: Riccardino, l'ultimo volume di Camilleri, è molto difficile da rendere in una fiction. Comunque gli anni passati con Montalbano sono stati meravigliosi, non ho il desiderio di farlo dimenticare. Non cerco un riscatto. Ho chiuso l'esperienza perché era arrivato il momento, perché degli amici, delle colonne (lo scrittore e il regista Sironi), erano venuti a mancare».

Si vedrà. Intanto godiamoci Zingaretti re delle carceri.

Nel cast accanto a lui ci sono Isabella Ragonese nei panni di un'agente carcerario, Anna Bonaiuto in quello del pubblico ministero che indaga sugli illeciti di Testori, Barbora Bobulova, l'ex moglie e Giorgio Colangeli, comandante delle guardie.

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