Io sto con Hélène Devynck, l'ex signora Carrère. Non tanto per l'accordo con l'ex marito scrittore Emmanuel, secondo il quale non doveva utilizzarla nei suoi romanzi, quanto perché il nuovo libro di Carrère, Yoga (Adelphi), è la versione intellettualizzata di quello che ormai senti dire dalle influencer e dalla casalinga media da almeno vent'anni. Secondo me Hélène voleva salvarlo, era il celebrato autore di Limonov, ti pare che ora deve stampare centinaia di pagine per parlare della sua depressione e dire che finisce a meditare in un dojo? Ritrovando sé stesso in India e quella roba lì?
Tra l'altro romanzando molto (pensa se non l'avesse fatto), per esempio i suoi struggimenti per incontrare le disgrazie del mondo, come due mesi passati tra i giovani rifugiati sull'isola greca di Leros («I due mesi sono durati solo due giorni, e c'ero anch'io» precisa Hélène), e elargendo a ogni pagina perle di saggezza orientale che dopo venti pagine ti fanno venire voglia di spaccare tutto quello che hai in casa. Tutto un distaccarsi, un disconnettersi, un appartarsi in cerca della pace interiore: «Da quei dieci giorni in cui sarei stato disconnesso da tutto, irraggiungibile, off limits, mi aspettavo molto, anche se non sapevo esattamente che cosa». Ma cosa vuoi aspettarti? Il Nirvana?
Così Emmanuel va in seminario di meditazione indiana Vipassana e gli fanno delle domande che neppure nei centri alcolisti anonimi: «Ci veniva chiesto: 1) come eravamo venuti a conoscenza della Vipassana; 2) se avevamo esperienza di meditazione; 3) in che momento della vita ci trovavamo; 4) che cosa ci aspettavamo dal seminario». Lui sceglie comunque il corso intensivo. Anche perché vorrebbe arrivare al teletrasporto, che «consiste nello spostarsi istantaneamente da un luogo all'altro, con il solo potere della mente», quindi mentre magari adesso voi siete al bagno a leggere questo articolo avete vicino Carrère che vi spia. Sebbene gli esempi che ti fanno loro siano altri, tipo: «Scompari a Madras e l'istante dopo ricompari a Bombay», sai che culo, neppure a Las Vegas.
Dentro il libro comunque Carrère frulla un po' di tutto, la clinica psichiatrica, il suddetto soggiorno con i rifugiati di due mesi (o due giorni, secondo la moglie), una storiella erotica di quelle che sembrano bellissime solo a te che le vivi, perché non si dica che è il solito libro sullo yoga e sulla meditazione, e perfino momenti di profonda autocoscienza, proprio quando approda la prima volta allo yoga, per esempio questo: «Mi sono chiesto se uno che sperava di fare un'esperienza del genere iscrivendosi online a uno stage aperto a tutti, un po' come chi spera di vedere una manta iscrivendosi a una giornata di immersione sottomarina, dimostrasse un'invidiabile apertura mentale o se invece per bersi una simile cazzata - e dichiarare, poi, di essere rimasto deluso - non bisognasse essere un po' coglioni». Io direi la seconda e un po' più di un po', ma non sono Carrère, e inoltre non devo giudicare perché «non si giudicano i propri pensieri, come non si giudica il prossimo. Bisogna prenderli per quello che sono, vederli come sono. Sì, questa è la terza, e forse la più esatta, definizione della meditazione: vedere i propri pensieri come sono. Vedere le cose come sono». Peccato che un pensiero così valga tanto per il Mahatma Gandhi quanto per Adolf Hitler.
In ogni caso vi dovete bere tante, tante considerazioni sull'apertura della coscienza, sullo zafu («uno zafu, per chi non lo sapesse, è un cuscino giapponese, tondo e compatto, pensato appositamente come base per stare seduti con la schiena eretta durante la meditazione», vivevo benissimo anche senza saperlo), sul fatto che «siamo qualcosa di diverso dal nostro io confuso, frammentato, spaurito, e che a questo qualcosa possiamo avere accesso», e che dal momento che gli obblighi materiali sono ridotti al minimo, non abbiamo niente, ma proprio niente da fare «se non stare in silenzio e rivolgere lo sguardo verso l'interno». Certo, se fai il muratore sai tutti questi discorsi dove te li metti, ma Carrère se lo può permettere, non ha proprio niente da fare. In realtà ce l'ha: «Alla fine dovrò ammettere che c'è una ragione, forse un po' meno confessabile: se sono qui, è per scrivere un libro». Davvero? Mica lo avevamo capito, noi (per forza, non meditiamo mai).
Comunque dovete avere tanto, tanto tempo per rimbecillirvi al punto giusto, perché «per iniziare a meditare ci vogliono almeno dieci anni di pratica assidua, devi aver aperto il bacino, aperto il torace, aperto le spalle, allineato i bandha e i chakra, acquisito la padronanza di tutte le tecniche di pranayama, e soltanto allora quel grande mistero, fonte di cambiamento, che è la meditazione arriva, e arriva da sé». Considerate che nello stesso numero di anni la Nasa ha mandato l'uomo sulla Luna, Proust ha scritto la Recherche, Einstein ha concepito la teoria della relatività generale, ma volete mettere avere il chakra allineato.
In
ogni caso io aspetto il romanzo della signora Carrère sull'ex marito, chissà quante ne ha da raccontare, ma sappiate che il Goncourt per questo libro è assicurato, vedo già tutti i giurati felici nella posizione del cane.
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