Cultura e Spettacoli

Carriera e sentimento. In amore è meglio non essere diplomatici

L'ambasciatore Serra debutta nella narrativa con tre storie "a tema", fra professione e passioni

Carriera e sentimento. In amore è meglio non essere diplomatici

C'è un'immagine, romantica e idealizzata, della figura del diplomatico, tramandataci dalla grande tradizione letteraria francese che lo rappresenta, colto ed elegante nonché raffinato e salottiero, alle prese con una spumeggiante vita mondana fatta di cene e ricevimenti, di trame e di amori più o meno leciti. Nel celebre romanzo di Gustave Flaubert del quale è protagonista, Emma Bovary fantastica su quel mondo e sogna di evadere dalla sua grigia esistenza di provinciale per accedervi e, magari, intessere qualche relazione sentimentale. Fino a che punto sia verosimile, ancorché riferita a un'epoca ormai lontana, questa immagine di una diplomazia che ha cambiato pelle e obiettivi è difficile dire. Ci fu un'epoca nella quale si poteva parlare persino di una vera e propria «diplomazia del boudoir» che ebbe una certa importanza nei secoli XVIII e XIX, ma al di là delle «tresche amorose» intessute da e con diplomatici per motivi politici rimane il fatto che anche gli «amori diplomatici», sbocciati nel cuore di un funzionario di qualche ministero degli Esteri, non sfuggono alla logica del sentimento o della passione travolgente anche quando, e se del caso, la professione, per sua natura itinerante, li rende intermittenti o fugaci.

Proprio Amori diplomatici (Marsilio, pagg. 256, euro 16) s'intitola la prima prova narrativa dell'ambasciatore Maurizio Serra, che alla carriera diplomatica ha affiancato una intensa attività di saggista. Serra, infatti, ha ricoperto incarichi di prestigio come quelli di rappresentante permanente dell'Italia presso l'Unesco a Parigi e presso le Nazioni Unite a Ginevra, ma, parallelamente, ha legato il proprio nome a molti volumi di storia culturale e politica che gli hanno procurato la nomina, unico italiano, fra gli «immortali» dell'Accademie Française.

Il suo esordio nella narrativa con il volume Amori diplomatici conferma, in primo luogo, quella passione per la storia, che Maurizio Serra ha ereditato dal padre Enrico, uno dei fondatori riconosciuti della storia delle relazioni internazionali, ma, anche, in secondo luogo, quella forte sensibilità letteraria che lo aveva spinto ad occuparsi di intellettuali europei alle prese con le grandi crisi spirituali, prima ancora che politiche, del '900. I tre racconti lunghi o, se si preferisce, i tre romanzi brevi che costituiscono il volume sono immersi nella Storia, quella con la «S» maiuscola, che fa da cornice alle vicende dei protagonisti, tutti diplomatici, come l'autore, e costretti a misurare i propri sentimenti personali con le esigenze di una carriera, per sua natura, errabonda. Si potrebbe dire, con una battuta, che questi testi costituiscono nel loro insieme una sorta di piccola Comédie humaine di balzacchiana memoria dedicata non già, come faceva il grande scrittore francese, al mondo di una borghesia emergente ma piuttosto al mondo della diplomazia, sempre uguale a se stessa, e dei suoi protagonisti invischiati in amori, ora evanescenti ora appassionati.

Nel primo racconto, l'io narrante è un ambasciatore accolto in esilio dietro promessa di non svolgere attività politica da uno Stato forse sudamericano a migliaia di chilometri dal suo Paese di origine, l'immaginario Michoumistan, travagliato da disordini e guerre civili e divenuto una democrazia popolare. L'amore giovanile per la sorella di un suo compagno di studi, un amore appena sfiorato e scomparso come una favola evanescente, tornerà improvviso, in un contesto mutato e alla fine della sua carriera. Il secondo racconto del volume è, invece, tutto immerso nel vortice di un momento drammatico del '900. Il protagonista è un diplomatico giapponese, Hitaki, «miope e rotondetto», «dalle orrende cravatte sgargianti e dal Borsalino a larghe tese» che viene destinato a Roma come addetto culturale alla vigilia della seconda guerra mondiale. Qui egli intreccia con la moglie del Grande Poeta una figura, questa, dietro la quale è riconoscibile un Filippo Tommaso Marinetti con qualche tratto dannunziano una travolgente relazione che trasforma il sentimento d'amore in passione, prima, e, poi, in ossessione sullo sfondo tragico della agonizzante Repubblica Sociale. Tutto sembra finire con la conclusione della guerra, ma, alcuni decenni dopo, il destino troverà modo di far tornare alla mente al signor Hitaki, nel frattempo divenuto professor Hitaki, il ricordo di quell'amore. In un certo senso congruente con quell'immagine stereotipata della diplomazia diffusa da Flaubert è il terzo racconto, più degli altri frizzante, animato da personaggi contraddittori, salottieri e mondani, impegnati in tresche amorose. Ci sono la bella e inquieta Luisella, alcolizzata e amante della velocità, il marito inglese e cattolico, il giovane diplomatico cresciuto nel mito di Talleyrand e un corteo di intriganti dame sullo sfondo di una Svizzera che è, simbolicamente, ospitando le Nazioni Unite, la patria della diplomazia multilaterale.

Costruiti con registri narrativi molto diversi fra loro, ma scritti sempre con stile saporoso e coinvolgente, che lascia spazio a sentimenti come la nostalgia o la malinconia e a un sottile umorismo di scuola british oltre a descrizioni quasi iperrealistiche del periodo bellico, i tre racconti sono indipendenti fra di loro anche come ambientazione e come argomento.

Eppure, in tutti, c'è qualche filo sotterraneo che tende a unirli per esempio il richiamo, pur discreto, all'immaginario Paese del Michoumistan, che fa capolino in tutte le storie quasi a confermare l'idea che essi debbano essere visti come tessere di un mosaico narrativo o, se si preferisce, come capitoli di quella Comédie humaine, di cui si diceva, dedicata alla diplomazia, ai suoi riti e ai suoi protagonisti.

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