Cultura e Spettacoli

Cecoslovacchia: una nazione nella morsa del comunismo

Giampietro Berti

Non sono molti i libri che hanno ricostruito la storia del comunismo nei Paesi dell'Europa orientale. Ci sorregge ora però un importante studio di Francesco Caccamo riguardante la Cecoslovacchia, un Paese oggi scomparso, ma che, per dirla con lo studioso francese di origine ceca Antoine Marès, fu una sorta di «sismografo d'Europa»: Francesco Caccamo, La Cecoslovacchia al tempo del socialismo reale. Regime, dissenso, esilio (Società Editrice Dante Alighieri, pagg. 261). Giustamente Caccamo punta la sua attenzione soprattutto sulle vicende politiche perché, in generale, non si può certo dire che la storia del comunismo presenti un particolare interesse per quanto attiene alla vita sociale e culturale. Centrale, dunque, rimane la storia politica, che Caccamo suddivide in tre grandi momenti: il regime, il dissenso, l'esilio.

Per quanto attiene al regime, imposto dopo il colpo di Stato del febbraio 1948, Caccamo ricorda che esso si è sempre identificato con l'esercizio del potere da parte del partito comunista, attuato grazie al suo ramificato apparato repressivo e propagandistico: un insieme, cioè, che permeava ogni aspetto della vita comunitaria. Lo stesso regime implicava, sul piano economico, la subordinazione dell'intero sistema produttivo alla pianificazione, che si traduceva nella nazionalizzazione dell'industria, nella collettivizzazione dell'agricoltura, e nella preminenza attribuita agli strumenti di produzione rispetto ai beni di consumo; mentre, sul piano internazionale esso portava alla totale subordinazione politico-militare all'Unione Sovietica. Sotto l'aspetto del dissenso, si deve sottolineare che la Cecoslovacchia, forse più di altri Paesi del blocco sovietico, fu attraversata da tensioni, fermenti, riflessioni e progetti di riforma e da correnti di opposizione dal carattere più esplicitamente politico. Basterà qui ricordare la Primavera di Praga e Charta 77. Infine l'esilio, animato dai quei politici e da quegli intellettuali rifugiatisi all'estero.

Il loro punto di riferimento fu la rivista Listy, che per due decenni esercitò un ruolo centrale sul piano politico, fungendo da anello di congiunzione tra il dissenso attivo in Cecoslovacchia e l'opinione pubblica occidentale.

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