Cultura e Spettacoli

Dall'anima alla cultura pop. I faraoni sono sempre con noi

Il numero di settembre di "Studi Cattolici" dedica uno speciale agli influssi della civiltà egizia sull'Occidente

Dall'anima alla cultura pop. I faraoni sono sempre con noi

L'influsso culturale della civiltà dell'Antico Egitto su tutte quelle successive è difficilmente calcolabile. Dalla religione alla geometria, passando dal fascino enorme dell'architettura o dai precoci sviluppi della scienza medica il contributo di questa civiltà trimillenaria al presente è semplicemente non quantificabile.

Ci sono ambiti in cui questo influsso è molto evidente e persino pop - potete trovare persino una piramide sulla copertina di uno degli album (Powerslave) della band metal degli Iron Maiden - e altri in cui è più sottile ma non per questo meno pervasivo.

Per rendersene conto basta leggere il nuovo numero di «Studi cattolici» (rivista edita da Ares) che dedica uno speciale, molto colto, alla Terra dei faraoni.

Si parte con un intervento di Alessandro Roccati, già ordinario di Egittologia all'università di Torino, che mette in luce come la concezione platonica dell'anima sia da considerarsi fortemente debitrice dai modelli culturali propri della religione degli egizi. Come esemplificato nel famoso mito del carro alato, per Platone l'anima umana è essenzialmente tripartita. Per il filosofo ateniese c'è l'anima «concupiscibile», desiderosa di esperienze materiali, che persegue solamente gli istinti. C'è poi un'anima «irascibile», che si sdegna per le ingiustizie e persegue la giustizia. Nonostante ciò, anche questa parte non è del tutto razionale. E infine l'anima razionale, che vede il prevalere della ragione sul resto e dovrebbe indirizzare le altre due parti. E va da sé che questa idea platonica ha fatto molta strada se alcuni la considerano antesignana della partizione della psiche (e lo stesso etimo della parola alla Grecia ci riporta...) umana in Es, Io e Super-Io di Freud.

Roccati, sulla traccia delle riflesioni dello studioso francese François Daumas (1915-1984), ricostruisce il filo rosso che porta dalla concezione egizia delle anime umane sino a Platone. Tra le nove partizioni dell'anima umana della religione egizia tradizionale ce ne sono tre che vengono descritte in termini accostabili a quelli platonici.

E non sono i soli influssi riscontrabili in Platone. Il filosofo che probabilmente svolse un viaggio di formazione in Egitto, ellenizzato dopo le conquiste di Alessandro Magno, nel Cratilo propone importanti interpretazioni del linguaggio e del suo sviluppo. Secondo Roccati: «Le sue riflessioni poterono solo adattare una compiuta tradizione linguistica come quella proposta specialmente dalla millenaria civiltà egizia».

Anche il filosofo Matteo Andolfo, in un altro articolo dello speciale -L'idea dell'uomo nell'antico Egitto- riflette in maniera più ampia sull'influsso egizio sulla cultura greca a partire da Omero. Una influenza che avviene in più fasi e che porta ad una evoluzione. Sia per Omero sia per la cultura egizia più antica l'uomo è una somma di parti, una «molteplicità irrelata». Dopo, la concezione diventa più complessa e si riflette in tutta la filosofia classica sino a Plotino.

Federico Contardi, ricercatore di egittologia dell'università di Firenze, invece riflette sui rituali dell'antica religione egiziana. Il rito per gli egizi era fondamentale per mantenere l'ordine universale, quell'equilibrio rappresentato dalla dea Maat, personificazione del concetto di ordine.

Questo messaggio di ordine, imperniato sul mantenimento di antiche tradizioni e su determinate pratiche rituali, codificate nei papiri -come la vestizione del dio nei templi- ha costituito un patrimonio allegorico e simbolico che ha attraversato i millenni. Per certi versi quindi la stessa idea di liturgia è un debito che abbiamo verso gli antichi egizi: «Ogni atto, infatti, su un piano metaforico era identificato con avvenimenti del mito».

Chiudendo lo speciale invece Emanuele M. Ciampini, egittologo di Ca' Foscari, racconta i rapporti dell'Egitto antico con il resto dell'Africa. Perché l'influenza della civiltà delle piramidi non si è diramata solo verso il Mediterraneo ma ha plasmato anche le civiltà sviluppatesi più a Sud, direzione verso cui gli egiziani avevano una particolare attenzione geopolitica, e religiosa.

La geopolitica dei Faraoni è chiara: «L'interesse economico è quello che muove queste spedizioni: l'accesso alle ricchezze minerarie di queste terre, prima fra tutti l'oro, si combina con la possibilità di sfruttare, anche manu militari, regioni dove le formazioni statali non hanno ancora raggiunto una maturità tale da renderle interlocutori efficaci dello Stato egiziano». Per altri versi queste terre a Sud, da cui origina il Nilo che con le sue piene benefiche condiziona tutta la vita degli egiziani, assunsero presto anche un rilevante significato religioso. Del resto i popoli che entravano in contatto con gli egiziani, come i nubiani del regno di Kush, incorporarono modalità culturali egiziane e al contempo influenzarono a loro volta il regno dei Faraoni (non sono nemmeno mancati momenti in cui i due Stati hanno dato origine ad un'unica compagine politica).

Ecco che quindi l'Egitto si pone come crocevia originale tra il bacino del Mediterraneo e l'Africa più profonda, un precursore della globalizzazione, quanto meno a livello di miti.

Come spiega in chiusura del suo saggio Ciampini: «Le terre a sud dell'Egitto rappresentarono uno scenario fondamentale per la costruzione del reale non solo presso i Faraoni, ma anche per la cultura occidentale: la dizione hic sunt leones, segno di un confine tra mondo umano e l'ignoto e il fantastico, può diventare l'ultimo anello di una catena la cui origine risale agli inizi della Storia sulle rive del Nilo».

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