Cultura e Spettacoli

Davide, ovvero grandezza nascosta nella meschinità

Il libro di Bruno Volli analizza la figura del re biblico. Scelto da Dio per un disegno che lo sovrasta

Davide, ovvero grandezza nascosta nella meschinità

Quando ci capita tra le mani un vero libro, gli aggettivi e le locuzioni di rito svaniscono. Bello, bellissimo, straordinario, si legge tutto d'un fiato, da leggere e rileggere, emozionante, evento dell'anno, eccetera eccetera. Chiacchiere. Perché adesso c'è il libro, e il libro parla da solo, senza bisogno che qualcuno lo faccia a suo nome.

È il primo pensiero sorto in noi dopo la lettura di Musica sono per me le Tue leggi. Storie di Davide, re d'Israele (La nave di Teseo, pagg. 540, euro 24), la grande biografia - ma anche molto di più - che Ugo Volli ha dedicato a uno dei personaggi più grandi e controversi della storia umana: così grande da sfidare un oblio oggi generalizzato verso la storia, e specialmente verso quella parte, giudaica e poi cristiana, di cui la nostra civiltà è, per una buona metà, il prodotto.

L'ignoranza, figlia della fretta e della pigrizia, non ha impedito infatti a Davide di raggiungerci grazie anche a un'ingombrante iconografia che ha permesso la sopravvivenza di racconti imprecisi, precipitati dalla pagina scritta (ma poco letta) alla blatera approssimativa di maestre, genitori e nonni, tutti cresciuti alla scuola del Sentito Dire ma che ancora sanno usare l'endiadi «Davide e Golia», e qualcuno anche «Davide e Betsabea». Chi poi ha letto Faulkner si sarà forse domandato chi fosse mai Assalonne (Absalon, Avshalòm), il figlio ribelle ma anche il figlio prediletto del grande re.

Il libro percorre con linguaggio semplice e preciso una vicenda di enorme complessità, di cui solo una figura straordinaria come quella di re Davide può reggere il peso.

La bellezza del libro non dipende però dalla ricchezza indubbia della documentazione né dalla capacità analitica dell'autore, che non è un biblista, un esegeta, insomma uno specialista - no: dipende dal fatto che Ugo Volli è semplicemente uno scrittore, e il suo libro è importante anzitutto per questo: perché ci fa capire che cos'è uno scrittore e cosa fa uno scrittore quando scrive un libro.

Potremmo dire che uno scrittore è un uomo che cerca di stare tutto intero dentro la materia che tratta. Il che vuol dire: con la propria cultura, la propria formazione, le proprie idee, la propria voglia di capire, i propri preconcetti e al tempo stesso il bisogno di fare un passo oltre tutto ciò. La Bibbia è una fonte inesauribile di storie (come già il sottotitolo segnala) che sono però storie speciali, che si distinguono da tutte le altre per il loro inusuale realismo. Volli tiene a sottolinearlo più volte. Anche gli stessi miti di altre culture ricevono, qui, un racconto speciale. Riferendosi alla vicenda arcinota di Davide e Batsheva (Betsabea), per esempio, l'autore osserva come «le Scritture ebraiche» ci narrino «questa vicenda di decadenza fisica e morale» con tutti «i conflitti, le congiure, i gli sfregi, i lutti che ne seguono». Gli eroi biblici non hanno insomma nulla in comune con Ettore, Achille, Orlando o Gilgamesh, sempre belli anche nella sventura, vincitori (come Ettore) anche nella sconfitta. Davide è geniale e coraggioso ma anche perfido, prepotente, orgoglioso. Insomma, è un uomo.

Il suo rapporto con Dio è esemplare, non la sua vita, e Dio lo preferisce non per le sue virtù morali ma per un disegno che Davide non sembra comprendere sempre, tanto da confondere spesso l'elezione con l'approvazione. Ma Davide è grande anche perché sa chiedere perdono, è grande anche per la sua meschinità che non sa nascondere. E poiché tutta l'esistenza di Davide è legata, nel bene e nel male, a Dio, la potenza di realtà che emana dalla sua figura si riverbera in quella di Dio. Se Davide non è un'invenzione degli scribi, non lo è insomma nemmeno Lui, Iahvè.

Il racconto di Volli è sempre scrupoloso, il suo pensiero espresso con cautela, senza mai varcare i limiti di una narrazione che esige, per la sua complessità, tutta l'attenzione e l'umiltà dello scrittore. Perché - questo Volli ce lo ricorda a ogni passo - raccontare una storia o anche solo un pezzo di storia, rispettarne la complessità è molto, molto difficile e assorbe tutte le forze dello scrittore, che deve camminare nelle difficoltà della sua materia come il cercatore di funghi, che sa riconoscerli anche sotto una foglia o sotto uno strato di muschio.

Così è il lavoro dello scrittore, un lavoro che ha due nemici: la faciloneria da un lato e lo specialismo dall'altro. L'uno come l'altra riducono la forza dell'opera, che consiste in gran parte nella forza del soggetto che la realizza. Volli - altro pregio da non sottovalutare - riconosce i limiti della propria visione. Mondo greco e mondo giudaico non rappresentano solo due culture distinte, ma anche due metodi di conoscenza differenti. Volli (che è anche un importante studioso di Teatro e grande conoscitore del mondo classico) sta in questo dalla parte dei greci, e cerca la verità (a-letheia, uscita alla luce) al modo dei greci, ossia vagliando i documenti e cercandone l'interpretazione più ragionevole. Ma i documenti del mondo giudaico sono differenti: essi non vivono di luce, piuttosto cercano la roccia della testimonianza veritiera (così sarà anche per i Vangeli, opera di ebrei). La loro metafora non è ottica, ma acustica: la garanzia della loro veridicità non sta nella luce, ma nella credibilità (parresia) della voce che li enuncia.

In breve, Volli racconta vicende del mondo giudaico restando sul versante classico. Non entra in quel mondo, non rischia il naufragio, e fa bene: il suo non è un difetto. E il libro che ne risulta è splendido. La nostra civiltà è figlia in parti uguali del mondo classico e di quello giudaico-cristiano. Ma poiché in tempi recenti questa seconda eredità è stata dimenticata (tranne qualche incursione folkloristica) è bene che il suo racconto, la sua riscoperta proceda secondo la sensibilità del tempo presente. Chi crede di poter contemplare il mondo dall'alto è quasi sempre fraudolento.

Il presente (ogni presente) è residuale, una rimanenza, e i veri scrittori - come Ugo Volli - lo sanno, e agiscono di conseguenza.

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