Cultura e Spettacoli

"Dudù" come "Jep". L'ultimo dandy della letteratura

È La grande bellezza ad essere un film lacapriano o è Raffaele La Capria a essere il Jep Gambardella sorrentiniano?

"Dudù" come "Jep". L'ultimo dandy della letteratura

È La grande bellezza ad essere un film lacapriano o è Raffaele La Capria a essere il Jep Gambardella sorrentiniano?

O forse, una cosa non c'entra niente con l'altra.

Eppure: la vita di Raffaele La Capria è fatta di piccoli dettagli e di Grande bellezza. Uno scrittore napoletano che vive a Roma, autore di un solo grande romanzo nella vita, che non ha voglia di scrivere, che frequenta il giornalismo e il cinema. Un soprannome secco, breve, evocativo: «Dudù», «Jep». Le feste, le terrazze - quella di La Capria, all'ultimo piano del palazzo di piazza Grazioli è fra le più belle di Roma - e l'alba salutata in riva al Tevere. Un'eterna dolce vita fra elegante disincanto, una necessaria indolenza, un giusto cinismo, lo sguardo rassegnato sul degrado morale, quel modo garbato e sornione di dire le cose, una donna bellissima - La Capria sposò Ilaria Occhini, una delle femmine più belle dell'Italia degli anni Cinquanta e Sessanta - e l'itinerario quotidiano di Dudù così simile a quello di Jep, dall'austera piazza del Collegio Romano per le vie tortuose che portano al Pantheon e a Sant'Eustachio, fino a piazza Navona scintillante nel sole di giorno, bagnata di blu la notte... E poi quella sciccosità tutta napoletana: il Borsalino bianco, gli abiti sartoriali, il fazzoletto di seta nel taschino della giacca, eterno come la Città.

Quando nel 2014, anno dell'Oscar per La grande bellezza, la casa editrice Mondadori mandò il libreria una raccolta di scritti di Raffaele La Capria «nella città della Dolce Vita», la intitolò La bellezza di Roma e in copertina mise un Borsalino bianco su sfondo rosso cardinalizio.

Del resto Paolo Sorrentino - che ha più volte citato La Capria come proprio faro letterario - voleva trarre un film da Ferito a morte, libro culto per molti critici e scrittori, come L'apparato umano di Jep Gambardella: scrisse la sceneggiatura, ma poi il progetto si fermò (che peccato).

Dandy, elegante, disincantato, dimostrazione perfetta che per uno scrittore non è importante produrre molto, ma basta scrivere un capolavoro, Raffaele La Capria era un napoletano d'altri tempi. Allegro, ironico, col sorriso sulle labbra «anche quando assumeva atteggiamenti critici di fronte alla realtà», ha detto chi lo conosceva bene. È quello che si chiama «maestro».

Che a Napoli si dice «O' Professore».

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