Cultura e Spettacoli

Fausto Russo Alesi: "Folle censurare la cultura russa. Ha sempre lottato contro il potere"

Dal Giovanni Falcone de "Il traditore" al Francesco Cossiga di "Esterno notte": la nostra intervista a Fausto Russo Alesi

Fausto Russo Alesi: "Folle censurare la cultura russa. Ha sempre lottato contro il potere"

È tra i migliori attori italiani in circolazione ed è reduce dall'ennesima prova di altissimo livello. Parliamo di Fausto Russo Alesi, interprete palermitano e ormai fedelissimo di Marco Bellocchio. Ha messo le sue grandi qualità a disposizione di maestri del calibro di Mario Monicelli, Robertò Andò e Marco Tullio Giordana, senza dimenticare i lavori teatrali di spessore, basti pensare al recente "Padri e figli" di Turgenev.

Fausto Russo Alesi ha interpretato Francesco Cossiga in "Esterno notte" di Marco Bellocchio, sfoderando una performance incredibile. L’opera del regista di Bobbio - al cinema in questi giorni con la prima parte e dal 9 giugno con la seconda - è distribuita nelle sale cinema da Lucky Red e sarà trasmessa nell’originale formato seriale in autunno su Rai 1.

È reduce dal festival di Cannes, dove è stato presentato "Esterno notte": che esperienza è stata?

"È stata un'emozione incredibile. Sono sempre stato a Cannes grazie a Marco Bellocchio, la prima volta con 'Vincere' e poi con 'Il traditore'. La visione collettiva di una tragedia collettiva è stata veramente forte. Sono contento che sia nelle sale, bisogna tornare con forza nelle sale cinematografiche, anche se siamo felici che in autunno arriverà anche in tv, considerando che l’opera è nata ed è stata pensata come una serie".

La narrazione di Bellocchio è in grado di funzionare sia come film, che come prodotto seriale...

"Parliamo di un grande maestro, di un grande artista. Il suo sguardo potente è indipendente dal formato e dalla lunghezza".

Lei interpreta Francesco Cossiga...

"Interpretare dei personaggi che sono nella nostra memoria è sempre più complesso, perché bisogna riuscire a restituire il più possibile quel personaggio e allo stesso tempo andare oltre, fare un'immersione nell'umanità di quel personaggio. Soprattutto quando sono figure che ricoprono un ruolo o una carica pubblica che tende a nascondere quello che può essere l'approfondimento umano. Il cinema di Bellocchio è meraviglioso perché scende negli angoli delle vite private, nei contrasti e nelle contraddizioni dell'essere umano. Ho dovuto fare un viaggio immersivo, quasi una discesa agli inferi. I cinquantacinque giorni che raccontiamo rappresentano un momento ben preciso, sono cinquantacinque giorni tragici, terribili. Il percorso di Francesco Cossiga è sfaccettato: è un personaggio che si muove tra due mondi, la realtà e l'immaginazione. Ed è un personaggio quasi funambolico, quasi imprendibile, la sceneggiatura visionaria del film prova a capire cosa significa dividersi tra il ruolo politico e le ragioni umane: Aldo Moro per Francesco Cossiga era un amico e un maestro. In 'Esterno notte' lo dice chiaramente: 'Tutto ciò che sono lo devo a Moro'. Quindi è stato un viaggio molto denso, doloroso. Da un punto di vista attoriale ho provato a restituire questa figura con il più ampio spettro possibile. Un Cossiga poderoso, coltissimo, sarcastico, duro, misterioso, in preda alle sue ossessioni e debolezze...".

Lei ha anche interpretato Vittorio Nisticò nella serie "Solo per passione - Letizia Battaglia" di Roberto Andò..

"Anche in questo caso un personaggio che ruota attorno al potere. Nisticò è un personaggio storico, molto amato e sono contento di avere avuto l'opportunità di poterlo interpretare in onore di Letizia Battaglia. La serie di Roberto Andò è commovente e di grande sensibilità e si concentra con amore su una figura iconica e Nisticò era a capo de 'L'Ora', giornale dell’antimafia che aveva come obiettivo primario la verità, la concretezza. Questo è un insegnamento che Nisticò ha trasmesso a tutti i suoi allievi. Lui è stato molto importante per Letizia Battaglia, ha riconosciuto in lei un talento e una grandissima personalità. Avevano in comune questo gusto per la verità, per la libertà e la consapevolezza che attraverso il giornalismo si può ribaltare il potere".

Pochi giorni fa è stato celebrato il trentennale della strage di Capaci, lei ha interpretato Giovanni Falcone ne "Il traditore". Quanto è stato difficile vestire i panni di un simbolo della lotta alla mafia?

"È stato emotivamente fortissimo e sono profondamente grato a Marco Bellocchio. Io credo che Falcone sia un gigante per tutti, ma essendo palermitano e avendo vissuto lì le stragi mafiose, iI sentimento che mi ha accompagnato prima, durante e dopo le riprese è stato l’inadeguatezza nei confronti di una persona così grande, così coraggiosa. Il lavoro che abbiamo fatto, Bellocchio ed io, è stato quello di cercare di lavorare all'interno della sceneggiatura per tratteggiare un Falcone privato. Tutti abbiamo nella memoria la sua dimensione pubblica, ne 'Il traditore' ci siamo concentrati sugli interrogatori, su qualcosa di documentato ma non fino alla certezza: c'era un margine di libertà importante. Abbiamo deciso di procedere per sottrazione, cercando di arginare il più possibile la retorica. Volevamo fare percepire l'assenza di Falcone, soprattutto il dolore della sua assenza".

Poche settimane fa ha concluso la tournée teatrale "Padri e Figli", dal romanzo di Ivan Turgenev. Un’opera attuale, per tanti motivi...

"Innanzitutto un progetto. È nato tanti anni fa, nel 2016, a un anno dalla morte di Luca Ronconi, al Centro Teatrale Santacristina, nel tentativo di portare avanti quel luogo dedicato alla formazione. Ronconi utilizzava quel luogo per sperimentare e conoscere nuovi attori, per mettere insieme interpreti differenti e per indagare i testi. Roberta Carlotto mi chiese di pensare a un laboratorio per quell’estate. Io sono legato enormemente al Centro Teatrale Santacristina, alla figura di Ronconi prima di tutto, al valore di quel luogo e alla sua magnifica collocazione nelle colline umbre, un posto dove il tempo si dilata e dove si può fare un vero e proficuo approfondimento. Da lì abbiamo iniziato e poi proseguito un lungo viaggio con un gruppo di 13 attori neodiplomati su 'Padri e figli'. Insieme al professor Fausto Malcovati, abbiamo fatto un percorso meraviglioso a partire dall’adattamento del romanzo e ci siamo voluti porre una domanda su tutte: qual è l'eredità dei padri e qual è il futuro dei figli? Un quesito fondamentale per tutti noi. Abbiamo impiegato tre anni per costruire il progetto ed è li che l’E.R.T. Emilia Romagna Teatro, il Teatro di Napoli, in collaborazione con il Teatro Verdi di Pordenone e con il Centro Santacristina, hanno deciso di produrlo e di sostenerlo. Insomma, dopo la pandemia siamo finalmente arrivati in scena grazie all’impegno e alla crescita di tutti, degli attori soprattutto, bravissimi!".

Un progetto interessante, complice lo spessore di "Padri e figli"...

"Tornando al romanzo, viene scritto in un momento di crisi della Russia di fine Ottocento: scontri tra diverse ideologie, da lì a poco cadrà la servitù della gleba, c'è un disastro economico e un pressante Stato di polizia. Turgenev ci racconta una Russia in crisi dove non si sa più verso dove andare e la sua condizione come autore è quella di cercare di capire. Il testo fu molto criticato, fu un fallimento, nessuno si riconosceva né coi padri, né coi figli. E proprio quella condizione di fallimento mi ha interessato, perché molto vicina alla nostra: è come se Turgenev avesse previsto tutti i fallimenti storici che ci sarebbero stati dopo. Oggi navighiamo nella stessa incertezza, è difficile leggere il presente ed è difficile immaginare un futuro. Bisogna confrontarsi con il nostro passato, con gli errori che si continuano a ripetere: solo con il dialogo è possibile trovare una strada, nello scontro c'è solo distruzione".

Ha lavorato su un romanzo di un autore russo, cosa ne pensa delle richieste di censura la cultura russa a causa della guerra in Ucraina?

"Rispondo in un modo semplice: scherziamo?".

Eppure, non è una richiesta isolata. Sono in tanti a invocare la repressione culturale, anche se fortunatamente esistono ancora voci di buonsenso. Penso alla Biennale di Venezia, che ha aperto le porte agli autori in opposizione al regime russo e alla guerra in Ucraina...

"Dobbiamo cercare di occuparci dell'essere umano e degli esseri umani. I grandi scrittori russi hanno sempre lottato contro il potere e la censura. La letteratura russa, penso a Turgenev ma non solo, nasce da un'esigenza di giustizia, bellezza e libertà: tutto ciò non può che aprirci la testa".

Anche perché la cultura offre una mediazione, una via d'uscita. Non andrebbe repressa, soprattutto in momenti così difficili...

"Assolutamente. Bisognerebbe farsi contaminare e anche empatizzare un po' di più. Quando c'è qualcosa per gli altri, per tutti, non può che esserci del bene. Se c'è qualcosa solo per te, non può che esserci un problema".

Quali sono i suoi prossimi progetti?

"Le cose si muovono passettin per passettino, ne riparleremo. Io mi auguro un anno denso di lavoro per il cinema e per i teatri e che ci sia una risoluzione ai tanti problemi riscontrati durante la pandemia. Spero che ci sia spazio, ascolto e sostegno per molti e che si possano raccontare delle storie importanti. Bisogna ridare valore e fiducia al pubblico: offrire qualità, condivisione, cuore e passione.

Incrocio le dita!".

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