Il Festival della paura Grandi film e misure di sicurezza

Evacuata la sede della manifestazione che inizia oggi con il film di Woody Allen Attesa una parata di divi hollywoodiani

Stenio Solinas

da Cannes

Un Festival al femminile potrebbe anche essere un'idea. Ma sarà senza dubbio un Festival caratterizzato dalla paura. Ieri pomeriggio l'intero Palais du Festival è stato evacuato per mezz'ora proprio alla vigilia dell'apertura. Una voce dall'altoparlante, in francese, inglese, tedesco, spagnolo e italiano, ha invitato tutti i presenti a uscire «senza fretta», adducendo «motivi tecnici». In ogni caso, tornando al cartellone, la 69° edizione che parte oggi fino al 22 maggio, allinea in concorso Elle di Paul Verhoeven, con Isabelle Huppert; La fille inconnue dei fratelli Dardenne; Julieta di Pedro Almodòvar; The Neon Demon di Nicolas Winding Refn; Agassi, ovvero Signorina, di Park Chan-Wook. Raccontano stupri, nascite illegittime, fanciulle vampiro, madri addolorate e figlie abbandonate, amori lesbici.

Non basta: sempre a contendersi la Palma d'oro ci sono Personal Shopper di Olivier Assayas, Ma' Rose di Brillante Mendoza, Juste la fin du monde di Xavier Dolan, ovvero amore e moda, amore e mamma, amore e sesso... Il resto seguirà, come l'intendenza ai tempi delle guerre napoleoniche: un altro Ken Loach, I, Daniel Blake; un altro Jim Jarmush, Paterson; un altro Sean Penn, The last face; un altro Christian Mungiu, Bacalaureat.

Nell'insieme, e dando per buona che la «femminilità» indicata all'inizio sia il frutto di una scelta e non del caso, un'edizione giocata sull'usato sicuro: molti dei registi in gara sono degli habitués già premiati; c'è poco Oriente, tanta Europa (13 titoli), un pizzico di America latina e, naturalmente, un overdose made in Usa, in competizione e no. Nel primo lotto ci stanno i già citati Penn e Jarmush e il Jeff Nichols di Loving; nel secondo Woody Allen e il suo Cafè Society (con cui si inaugura la Mostra); Jodie Foster e il suo Money Monster;, Steven Spielberg e il suo Il gigante buono. Il che vuole anche dire una cascata di star: George Clooney, Kristen Stewart, Charlize Teron, Javier Bardem, Julia Roberts. Del resto, la lezione di cinema è affidata a William Friedkin, (L'esorcista, Il braccio violento della legge), del resto ci sarà una serata d'onore per Robert De Niro.

L'assenza degli italiani dalla selezione ufficiale ha già fatto versare lacrime d'inchiostro, e non ci torneremo sopra. Eravamo stati buoni profeti quando l'anno scorso avevamo notato come il trio Sorrentino-Garrone-Moretti fosse un'eccezione e non la regola, e come l'esser rimati a bocca asciutta fosse l'ennesima dimostrazione dello scarso peso politico della nostra cinematografia. Se lasciamo da parte i soliti lamenti sull'amor proprio ferito, varrà la pena ricordare ciò che Alberto Barbera, direttore della Mostra del Cinema di Venezia, ha detto a commento di questa mancata presenza nazionale: «Gli autori italiani in grado di confrontarsi con il mercato internazionale sono ancora pochi. Manca il prodotto medio, quello che costituiva l'ossatura del grande cinema italiano. Produciamo soprattutto commedie, ma la commedia è il genere che comunica meno facilmente passando da un Paese all'altro».

Detto questo, sparse nelle altre sezioni del Festival, gli italiani in gara comunque ci sono: Virzì , Bellocchio e Giovannesi nella Quinzaine (La pazza gioia, Fai bei sogni, Fiore); Mordini nel Certain Regard (Pericle il nero); Comodin nella Semaine de la critique (I tempi felici verranno), del Degan nelle Séances Spéciales (L'ultima spiaggia).

Ricapitolando: un Festival di alta professionalità, da mercato del cinema, strada che negli ultimi anni Cannes ha imboccato con sempre più decisione, con un occhio non particolarmente rivolto all'attualità che ci circonda (emigrazione, crisi economica, terrorismo), ma più focalizzato su temi classici e, come dire, senza tempo: amore, maternità, malesseri adolescenziali, crisi del modello familiare eccetera.

Con tre film in concorso, la Francia si

pone come al solito in pole position per portarsi a casa qualche riconoscimento. Speriamo non ecceda in sciovinismo come l'anno scorso. I premi immeritati fanno al male al cinema in generale e ai Festival in particolare.

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