Il film del weekend: "Senza nessuna pietà"

Un noir all'italiana con qualche difetto di sceneggiatura ma impreziosito da un ottimo Favino, qui nei panni di un gigante criptico e sofferto, e da grandi comprimari

Il film del weekend: "Senza nessuna pietà"

"Senza nessuna pietà", esordio dietro alla macchina da presa dell’attore Michele Alhaique presentato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia, è un noir ambientato nella periferia capitolina. Protagonista ne è Mimmo (Pierfrancesco Favino), un uomo grande e grosso di pochissime parole, che nella vita fa il manovale, almeno ufficialmente perché in realtà si occupa anche di riscuotere crediti per conto di un suo zio malavitoso, il signor Santili (Ninetto Davoli). E' una persona molto mite, l'opposto del suo viscido e arrogante cugino Manuel (Adriano Giannini), un sessuomane che, un giorno, gli chiede di andargli a prendere una giovane prostituta, Tania (Greta Scarano) e di sorvegliarla nelle ventiquattrore precedenti un certo festino che ha organizzato. Il poco tempo trascorso con la ragazza basterà a far scattare dentro Mimmo qualcosa che lo porterà a commettere l'impensabile per aiutarla e a cacciarsi quindi in grossi guai.

Favino ha speso moltissime energie in questo progetto: non solo ne è co-produttore ma è anche ingrassato di venti chili per calarsi nel ruolo. L'attore lavora di sottrazione regalando un'interpretazione granitica ed essenziale che si gioca tutta su sfumature e microespressioni; nonostante pronunci poche frasi in tutto il film, la potenza emotiva del personaggio arriva grazie a primissimi piani, a sguardi che ci raccontano il suo vissuto interiore e il modo in cui in lui convivono con somma difficoltà istinto di non-violenza e violenza. Il suo Mimmo si muove con lentezza, non per necessità predatoria né per il quintale di peso, quanto perché oramai da troppo tempo è avvolto in un torpore plumbeo, in una letargia della speranza. Il piccolo universo criminale che respira da quando è nato è il solo mondo che conosca e, per dovere parentale, ne accetta le regole e le gerarchie. Eppure tanto degrado morale non ha domato la sua natura buona e nascostamente romantica, che prorompe a contatto con quel raggio di luce inaspettato rappresentato da Tania, creatura di sbarazzina ingenuità e disperata spregiudicatezza. Greta Scarano, nell'impersonarla, forgia una figura grintosa e fragile, amabilissima. A dire il vero, l'accelerazione sentimentale tra i due protagonisti appare un po' troppo repentina e frettolosa, ma questa è una delle note stonate di una sceneggiatura debole in più punti come nel caso del dialogo esplicativo con lo zio, verso il finale.

Nonostante si tratti di un'opera prima, la regia appare sicura e scarna, quasi autoriale e certi cliché di genere sono proposti con eleganza. Inquadrature e fotografia, nella loro cupezza raffinata, indicano una ricerca estetica davvero superiore alla media e quello che sulla carta è un noir di efferata violenza si impreziosisce di immagini di indubbio lirismo.

La cura nei dettagli e

la grandezza degli interpreti (tra gli ottimi comprimari anche Claudio Gioè, nei panni di un esaltato delinquente), permettono di sorvolare sui difetti dello script e fanno di questo film un'opera dignitosa e convincente.

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