A Forlì qualcuno vuole correggere l'accento alla parola libertà

I festival letterari, i saloni del libro, le grandi rassegne... Ogni iniziativa culturale in Italia deve avere l'impronta politica della para-Sinistra (almeno ci fosse una Sinistra vera), pena la mancanza di autorevolezza. Senza l'imprimatur progressista l'unica certezza è l'indifferenza dei media, nel migliore dei casi, e le critiche, nel peggiore. Il metro di giudizio non è il valore culturale offerto, ma da chi arriva la proposta. Il puntiglio ideologico fa il resto.

Esempio. A Forlì questa settimana - il 17,18 e 19 settembre, all'arena estiva di San Domenico, con la direzione artistica di Davide Rondoni - andrà in scena il festival Accento di Libertà, parola chiave della rassegna, dedicato a Caterina Sforza. Una serata è dedicata proprio alla Contessa di Forlì, tenace combattente per la libertà e l'autonomia delle sue terre (protagonisti sono la scrittrice Eleonora Mazzoni e l'attrice Iaia Forte, che insieme a Caterina Sforza fanno tre donne su tre, così almeno da questo punto di vista le neofemministe non potrà dire nulla...). E una serata è una sorta di inchiesta sui personaggi che hanno segnato la storia di Forlì: da Mussolini ai partigiani Silvio Corbari e la sua compagna Iris Versari (uccisi nell'agosto del '44 e poi appesi ai lampioni di piazza Saffi) fino all'ideologo delle Brigate rosse Giovanni Senzani, che qui è nato. Titolo dell'incontro: «Forlì, ovvero il dramma della libertà e del potere». Niente di più neutro. E se non bastasse, nei programmi e le locandine si parla di Forlì come «città di «estremi», luogo di «negazione della libertà» (il riferimento ovvio è al Duce) e di lotta per la libertà (evidentemente i partigiani). Eppure la para-sinistra cittadina e la stampa progressista, con tipico riflesso pavloviano quando si cita Mussolini, hanno subito gridato allo scandalo, accusando il festival di «paragoni vergognosi» e di voler mettere «vittime e carnefici sullo stesso piano». Il gruppo consigliare del Pd è in rivolta. L'Anpi provinciale Forlì-Cesena parla di «festival dell'orrore». Il deputato del Pd Marco Di Maio (di Forlì) ha già chiesto di correggere il festival (usando un verbo che è l'anticamera della censura). E sabato, su Repubblica, è intervenuto persino Corrado Augias accusando la giunta di Forlì (di centrodestra...) di «gesto oltraggioso».

Tutto vale, soprattutto la strumentalizzazione, quando a organizzare un evento culturale non sono i soliti salotti buoni. È ovvio che l'accostamento tra Mussolini e i partigiani non è tra le singole persone e la loro tensione morale, ma tra i modi con cui furono giustiziati. E il paragone «vergognoso», allora, finiscono col farlo gli scandalizzati. Scivolando - quando accusano di faziosità un festival che brilla proprio per i diversi orientamenti degli ospiti- nello stesso vizio di illiberalità che vorrebbero additare. «L'unico interesse della rassegna - ha risposto il sindaco Gian Luca Zattini - è proprio tenere vivo il confronto e la fiamma della libertà».

«Del resto - ha aggiunto un suo assessore, Valerio Melandri - ci sono specialisti della polemica che pur di farsi notare non guardano, non leggono, o forse non capiscono». Ma forse è peggio. Gli ideologi del pensiero unico guardano, leggono e capiscono benissimo. Solo ciò che piace a loro.

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