Cultura e Spettacoli

Fuga in un Medioevo misterioso

La nuova avventura firmata da Marcello Simoni, il maestro del romanzo storico

Fuga in un Medioevo misterioso

Anno Domini 1232, mese di maggio

I due fuggitivi cavalcavano da giorni attraverso i boschi di Navarra. Coperti da mantelli e da ampi cappucci, si erano avventurati in sentieri sempre più impervi, tenendosi alla larga dai villaggi e persino dai capanni isolati che di rado spuntavano tra le ombre delle querce.

Ombre che parevano non finire mai.

Col suo tenue baluginare tra le fronde, la luce diurna si riduceva a una presenza quasi spettrale, mentre le notti sembravano rinnovare dopo ogni tramonto la promessa di un eterno oltretomba. Ed era proprio in quei momenti, al calare della palpebra del sole, che le ansie dei due compagni si facevano più pungenti. Soprattutto nella donna. Bastava il rumore di un ramo spezzato o un frullo d'ali perché quest'ultima si voltasse di scatto per accertarsi di non avere inseguitori alle calcagna. L'uomo invece manteneva uno spirito più saldo, benché non esitasse, di tanto in tanto, a cercare con la mano destra il conforto della scimitarra che portava appesa alla schiena.

Procedevano uno di fianco all'altra, scambiandosi qualche cenno o parola solo all'occorrenza. Del resto, c'era ben poco di cui discutere. Anziché fingersi pellegrini e risalire il Camino Francés fino alla Guascogna, come previsto all'inizio della loro fuga, avevano deciso di spingersi a nord, verso il golfo di Biscaglia, con l'intento di imbarcarsi sulla prima nave diretta alla costa andalusa. Prendere il mare, si erano detti, rappresentava non solo il modo più rapido per lasciare l'Hispania, ma anche il più efficace per far perdere le loro tracce.

Il mare, d'altro canto, aveva per la donna un significato più profondo. Era al di là di quella distesa color ardesia che si nascondeva la sua famiglia e l'idea di varcarne i confini la faceva sentire in procinto di raggiungerla, qualsiasi rischio fosse stato necessario correre.

«Mia signora!», esclamò d'un tratto il compagno.

A quel richiamo lei si accorse di aver spronato il cavallo oltre il dovuto, quindi strattonò le redini, notando subito dopo che la boscaglia andava diradando. Una decina di passi più avanti le chiome degli alberi si aprivano, offrendo la vista di uno specchio d'acqua verdastra ammantato di foschia.

«Una palude», sentenziò l'uomo, frenando il destriero.

«Un intoppo, ecco cos'è!», protestò la donna, dando voce alla sua inquietudine, mentre osservava i tronchi nodosi che affioravano come dannati dal lago di melma.

Fra di essi, nel bel mezzo del grigiore, si coglieva il barlume di una lanterna fissata alla prua di una barca lunga e sottile. Lo scafo era immobile, o si muoveva con una tale lentezza da apparire tale, e l'unica presenza che lo occupava, una sagoma nera e ingobbita, stava trafficando con chissà che cosa a bordo.

La donna non aveva ancora staccato gli occhi da quella lugubre figura che sentì il suo compagno stramazzare al suolo con un grido di dolore. Agendo d'istinto, scese di sella e si precipitò a soccorrerlo, accorgendosi con trasalimento che aveva un dardo conficcato nella spalla.

«No, non badate a me!», fece per rialzarsi l'uomo. «Andate via, fuggite!». Proprio in quel momento un secondo dardo fischiò nell'aria, costringendo entrambi ad acquattarsi sull'erba, dopodiché giunse alle loro orecchie un risuonare di voci e un abbaiare di cani che incombevano dal cuore della macchia.

Sono loro!, pensò la donna. Ci hanno trovati! Ma fu solo quando rivolse lo sguardo verso la palude che capì di essere in trappola.

Il figuro sulla barca stava ora ritto e la teneva sotto il tiro di una balestra.

Fu l'ultima immagine che le rimase impressa nella memoria.

Prima che un colpo alla nuca le ottenebrasse i sensi e l'intelletto.

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