Cultura e Spettacoli

Guerra, ideologia, brutalità. È lo scrittore più attuale

Negli Usa esce "Il popolo è immortale", inedito in Italia. Risale al 1942, ma è ancora scottante

Guerra, ideologia, brutalità. È lo scrittore più attuale

Il battesimo di fuoco accade a Brjansk, nell'estate del 1941: i bombardieri Stuka devastano la stazione ferroviaria e alcuni quartieri limitrofi. Vasilij Grossman si era arruolato volontario a Mosca, dove aveva scelto di trasferirsi con la moglie, Ol'ga. La madre, Ekaterina, era rimasta a Berdicev: sarebbe morta a metà settembre, insieme ad altri ventimila ebrei, in uno dei più infami massacri della Seconda guerra orditi dai tedeschi. In effetti, la guerra ucciderà per sempre il Grossman indeciso sulla forma da dare al proprio futuro, l'ingegnere chimico che cercava da Maksim Gor'kij, l'autorità letteraria dell'epoca, il colonnello del realismo socialista, approvazione («L'autore scrive: Ho scritto la verità. Tuttavia egli avrebbe dovuto porsi due domande: quale verità? e perché?», appunta, in una scheda editoriale, Gor'kij, a proposito di Gljukauf, lavoro d'esordio di Grossman, intuendo, di quell'esagitato scrittore, l'ossessione per la verità).

Una scena, tra le tante, ha economia di simbolo. Inverno 1941, Tula. I soldati russi resistono a 35 gradi sotto zero. «Nel cuore della notte, mentre la luna risplende sui campi coperti di neve, quest'ultima sembra diventare blu e contro il blu si possono intravedere i corpi scuri e senza vita dei soldati della Wehrmacht, che qualcuno ha disposto in strane figure». I russi tagliavano le gambe dei soldati tedeschi così ammucchiati; scongelando contro la stufa quei tranci di corpo, disincagliavano gli stivali, leccornia in un tempo torbido. Una notte, Grossman riconobbe un vecchio con un secchio pieno di gambe mozzate, atroce razzia, garanzia di denaro facile.

Grossman entrò in guerra rispondendo a una chiamata: aveva 36 anni, era certo che sarebbe morto sotto i bombardamenti tedeschi; ciò gli conferiva un'audacia raddoppiata, una specie di folle felicità. Esaltava le virtù del soldato russo «una combinazione di modestia personale e bontà, unita all'aspra rudezza dei soldati» , a cui si avvicinava con garbo, privo delle erudite malizie degli altri inviati speciali. Si dimostrò coraggioso. I militari apprezzavano la sua fermezza e il suo pudore; Grossman evitò di scrivere negli articoli pubblicati su Krasnaja Zvezda (Stella Rossa) e letti con avidità ma non nei suoi diari dell'impreparazione dei soldati, usati come carne da macello, della scelta sciagurata del «non un passo indietro!» (dettata da Stalin il 28 luglio 1942) che portò alla mattanza di centinaia di migliaia di giovani male armati, in condizioni disperate.

Aedo dell'Armata Rossa, Grossman si ritirò a Cistopol' tra il maggio e il luglio del 1942 per mettere in ordine i suoi appunti, all'origine del primo, grande libro, Il popolo è immortale. Tra questi materiali preparatori, alcune frasi riportano la guerra al ruolo rituale, che impone un sacerdozio: «Nella battaglia, il russo indossa una camicia bianca. Egli può anche aver vissuto da peccatore, ma muore come un santo. Al fronte molti russi hanno una tale purezza di mente e di spirito, una specie di modestia monacale». Il popolo è immortale alterna scene di guerra il bombardamento di Gomel', ad esempio a figure romanzesche intagliate nel legno, come la madre del Commissario ucraino Cerednicenko, Mar'ja, braccata dai nazisti, figura della madre di Grossman. Lo scrittore narra l'epica della resistenza russa al boato tedesco, ma non cela la delazione, accenna alla complicità di alcuni cittadini sovietici con gli invasori. «Saresti contento del grande successo del mio lavoro e dei generosi elogi che sto ricevendo dai militari di ogni grado dell'esercito, dal più alto al più basso», scrive Grossman al padre.

Ancora inedito in Italia, Il popolo è immortale esce nel mondo inglese dal 27 settembre prossimo come The People Immortal (New York Review Books, $ 19.95), per la cura di Robert ed Elizabeth Chandler, gli stessi che hanno ricostruito Stalingrado, il romanzo recentemente pubblicato da Adelphi. Anche qui, il testo è riprodotto secondo i manoscritti originari di Grossman, senza le lievi censure operate dall'editore russo. Se ne parla come di un romanzo «che è come un'arma tra le mani»: la copertina un tank in mezzo a un campo di girasoli rimanda all'attuale brutalità del conflitto in Ucraina.

Nonostante l'approvazione generale, per il premio Stalin fu preferito Il'ja Erenburg, con La caduta di Parigi: va ricordato che la cugina di Grossman, Nadja, era stata arrestata nel 1933 con l'accusa di trockijsmo, che la moglie di Grossman, Ol'ga, era stata arrestata nel 1938 perché ex coniuge di Boris Guber, scrittore, accusato di attività antisovietiche, fucilato l'anno prima. All'epoca, Grossman aveva scritto a Nikolaj Eov ennesima lettera di uno scrittore ai vari, temuti Commissari dell'NKVD ricordandogli che «devo tutto ciò che possiedo... al governo sovietico».

Vent'anni dopo la pubblicazione de Il popolo è immortale, Vasilij Grossman, ormai in disgrazia, impetra ancora aiuto agli alti dirigenti sovietici. Michajl Suslov, «responsabile del Partito per le questioni ideologiche», ricorda allo scrittore che il manoscritto di Vita e destino, sequestrato dalla polizia sovietica, non gli verrà restituito «Il Suo lavoro è pericoloso per il popolo sovietico... Il Suo romanzo farebbe il gioco del nemico» e che «i nostri scrittori sovietici devono solamente produrre ciò che serve ed è utile per la società». Il burocrate, tra l'altro, incoraggia Grossman a ruotare stile e modo narrativo: «ciò che la gente si aspetta da Lei sono opere narrative del genere di Il popolo è immortale». Dimostrava come tutti i gendarmi di Stato di aver capito poco quel romanzo, patriottico ma non ideologico. È da lì, in effetti, che la vita di Grossman ha una scossa, il vero avvio: dopo quel libro, Grossman parte per Stalingrado, di cui narra l'atrocità e la gloria («Nella difesa di Stalingrado i comandanti delle divisioni basarono i propri calcoli sul sangue piuttosto che sul filo spinato», appunta sui suoi diari). Ad ogni modo, riesce ad amare il cameratismo, l'etica militare, il rischio, che preferisce al plumbeo controllo del Commissariato del popolo.

Nella primavera del 1943 è in Ucraina; a Berdicev, dove è nato, scopre i massacri compiuti dai nazisti ai danni della comunità ebraica. L'ebreo Grossman, non praticante, integralmente sovietico, comincia la sua ricerca con un articolo, Ucraina senza ebrei, perentorio: «Non ci sono ebrei in Ucraina. Da nessuna parte, in nessuna città... Tutto è silenzio. Nulla si muove. Un intero popolo è stato brutalmente assassinato». Durante i lavori che porteranno alla compilazione del Libro Nero, immane studio sul «genocidio nazista nei territori sovietici» (pubblicato nel 1999 da Mondadori è ora «non disponibile»: sarebbe ora di ripubblicarlo), prontamente insabbiato da Stalin, Grossman scopre qualcosa di sconcertante: diversi ucraini, militanti nella Waffen-SS (Galicia), combatterono contro le truppe sovietiche; diversi ucraini aiutarono i nazisti nello sterminio degli ebrei sul territorio. «Nel loro stesso paese, erano gli ucraini a radunare gli ebrei e a metterli in riga per le fucilazioni, come avvenne nel massacro di ytomyr. Essi venivano ricompensati con il permesso di brutalizzare e stuprare le ragazze e le donne ebree nei ghetti» (John e Carol Garrard, Le ossa di Berdicev, Marietti 1820, 2020, p. 349).

Grossman si sentiva responsabile per non aver obbligato la madre a riparare a Mosca. «Il dolore per la tua perdita mi ha costantemente accompagnato in questi vent'anni trascorsi», le scrive, nel 1961. «Per me tu sei l'umanità e il tuo terribile destino è il destino dell'umanità in questi tempi inumani».

Forse i morti non ci vedono, ma ci leggono.

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