"Ha toccato!". L'uomo della Luna che ha fatto sbarcare milioni di italiani

È morto a 92 anni il giornalista Rai, voce storica della missione del 1969

"Ha toccato!". L'uomo della Luna che ha fatto sbarcare milioni di italiani

Duecento, duecento cinquanta tra dirigenti, tecnici, ospiti nello studio 3 di via Teulada. C'erano Mario Soldati e Michelangelo Antonioni, c'era lo scienziato Enrico Medi, c'erano Giovanni Malagodi e Monica Vitti, c'era Andrea Barbato e di fronte a lui, con lenti spesse su una montatura nerissima, un bell'uomo biondo, Tito Stagno da Cagliari. La Sardegna era la scorza mai dimenticata, si narrò che un giorno, in un cinema romano, Tito fece a cazzotti con alcuni spettatori che avevano insultato, a parole e gesti, la gente sarda illustrata in un documentario che precedeva il film. Venne allontanato con garbo, si aggiustò il ciuffo e rinunciò ad assistere alla proiezione. Era entrato alla Rai con regolare concorso a Firenze nel 54, quando la televisione stava prendendo il posto della radio. Aveva ventiquattro anni e aveva praticato sport nella accademia di Livio Urbani, disciplina della ginnastica artistica, poi frequentando la pallacanestro con la memoria di sedici punti in un torneo universitario. Si iscrisse a Medicina, cinque anni di voti alti ma, secondo sua testimonianza, l'esame di anatomia patologica fu molto più impegnativo di qualunque successiva diretta radiotelevisiva. Per pagare le tasse universitarie si mise a dare lezione di greco e latino. Aveva la fissazione del microfono, nelle feste di famiglia, durante le vacanze a L'Aquila, intratteneva gli astanti con domande e giochi vari, gli venne il capriccio di chiedere a Radio Cagliari di poter lavorare al Gazzettino sardo. Così fu, erano gli anni difficili del dopoguerra.

Fu il tempo dei sogni e dei progetti e anche di vita bella, conobbe Edda e si sposò con questa bella ragazza di Parma, avrebbero avuto due figli. Quando la Rai, nel 64, gli concesse un viaggio premio e di studio in America, non si limitò alla Grande Mela ma andò a scoprire Houston e Cape Canaveral, era il tempo dei primi voli verso l'ignoto, nell'aprile del Sessantuno Juri Gagarin e l'Urss avevano giocato di anticipo, Vostok 1 portò il primo uomo nello spazio, sette anni dopo, Kennedy chiese e ottenne Apollo 8 e Stagno si occupò dell'avventura di Borman-Lovell-Anders. Tito fu inviato su vari fronti, una volta finì al gabbio in Giordania ma re Hussein provvide all'immediata liberazione.

Venne l'estate magica del Sessantanove, Tito Stagno scoprì di essere il primo italiano a sbarcare sulla luna: fece l'annuncio storico e Ruggero Orlando tentò di smentirlo, ormai era fatta, ci eravamo fatti riconoscere anche nello spazio. Le parole retoriche cercarono di rendere ancora più tronfio l'evento: «Per la prima volta un veicolo pilotato dall'uomo ha toccato un altro corpo celeste, frutto dell'intelligenza, della preparazione scientifica, della fede dell'uomo». Il novanta per cento degli italiani non si staccò dal televisore, stando alle notizie di cronaca, in quei due giorni, crollarono rapine e furti, la luna ribadiva il suo magico fascino, il racconto di Stagno favoriva il rapimento, la canicola non suggeriva il sonno, praticamente eravamo tutti scesi da Apollo 11 e andavamo alla scoperta della pietra, lunare. Quella notte sua sorella Costanza stava in Canada, a Ottawa seguì lo sbarco con il racconto di Walter Cronkite. Finita la diretta, andarono in onda le reazioni del resto del mondo e apparve l'immagine di Paolo VI, il papa, seduto in poltrona, allargava le braccia come stupito dall'evento, sul televisore in bianconero passò il primo piano di Tito, il fratello di Costanza, un filo famigliare riavvolto a sorpresa da una parte all'altra dell'oceano.

Faceva un pazzo caldo in quel luglio romano, bolliva l'aria sparata nello studio dai riflettori, Tito provò a chiedere al grande capo, Ettore Bernabei, la possibilità di togliersi la giacca, per condurre all'americana, come era abituato nelle interviste on the road, con i fedeli in piazza San Pietro. Ricevette il rifiuto e allora, fradicio di sudore, decise di svestirsi delle braghe, comunque conservando l'aplomb dell'inquadratura, nessuno si accorse dello strip tease. Le contemporanee maratone televisive provocano sorrisi nemmeno a denti stretti, Stagno e Barbato tirarono, senza intervalli pubblicitari e consigli per gli acquisti, per venticinque ore, si disse bevendo tremila caffè e fumando ottomila sigarette. Tito digiunò per tutto quel tempo, masticando pastiglie di vitamina C, carico di bocce di adrenalina naturale. Avrebbe lasciato le svaporine qualche anno dopo, quando scelse una vita salutistica ai massimi. Ricordo quando nascondeva, nella tasca della giacca, una piccola saponetta: subito dopo aver stretto la mano a un ospite, dico alla Domenica Sportiva, chiedeva scusa e raggiungeva la toilette per nettarsi le mani.

Era elegante nei toni, rispettoso nel comportamento, perfetto il suo linguaggio giornalistico, nella dizione e nei termini, figlio di una generazione di grandi maestri del dire. Tito Stagno andò ad occupare il ruolo di responsabile dello sport per il Tg1, la Domenica sportiva fu il suo teatro per diciotto anni, un luogo esclusivo che ospitava i più grandi tra atleti e giornalisti, fra questi Gianni Brera al quale Tito strappò il consenso e il contratto dopo un pantagruelico incontro, innaffiato da vini del Piemonte che fecero sbarellare Stagno come nemmeno l'allunaggio del Sessantanove. Epperò il grande maestro di giornalismo diventò ospite fisso mentre Tito si godeva, sbirciando da parte, lo spettacolo, temendo qualche mattana del Gioanbrerafucarlo.

Quando si concluse la sua storia con la Rai, continuò a seguire il lavoro dei colleghi, dando loro suggerimenti, spaventato però dall'enfasi, a volte volgare, di certe cronache contemporanee, narrazioni minime ripensando a mister Moonlight. Aveva superato due polmoniti, durante l'isolamento era tornato a leggere il suo Nobel personale, Marcel Proust. Il tempo di Tito, non è stato perduto.

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