I moderati secondo Bonnard? Estremisti nel tradire la Francia

L'atto d'accusa dell'intellettuale: "Sono le femmine della politica: desiderano subire una piacevole violenza"

I moderati secondo Bonnard? Estremisti nel tradire la Francia

Les modérés esce nel 1936 e Bonnard, da poco divenuto accademico di Francia, è un monarchico cinquantenne di talento e di successo che ha in odio la III Repubblica in cui si è ritrovato a vivere. Due anni prima, durante i cosiddetti «moti di febbraio» scatenati dall'affaire Stavisky, e dove per la prima volta manifestanti di destra e di sinistra si sono scagliati insieme contro il Parlamento, si è illuso che quel regime avesse le ore contate, e invece... Quando il libro viene pubblicato il Fronte popolare ha appena vinto le elezioni, socialisti e radicali sono andati al governo con l'appoggio esterno del Partito comunista, e insomma la III Repubblica sembra essere risorta dalle sue ceneri. Bonnard vive tutto questo come un sopruso e un abuso, il che, visto il suo odio senza sconti per l'ideologia repubblicana, è tanto ovvio quanto comprensibile. Lo vive però anche come un tradimento, l'ultimo in ordine di tempo, di quel mondo genericamente di destra, conservatore, reazionario, aristocratico, nazionalista, borghese, che fin dall'inizio a quella Repubblica non ha saputo e/o voluto opporsi: ne è stato fagocitato, usato, sedotto e abbandonato. «I moderati sono le femmine della politica: desiderano subire una piacevole violenza. L'idea di venire salvati da un avversario sta loro sempre in fondo al cuore».

Dietro quell'aggettivo sostantivato, tuttavia per Bonnard non c'è solo un ceto politico, una classe sociale, un'ideologia. C'è anche e forse soprattutto un tipo umano. A farne parte è chi si «adatta al disastro», perché comunque gli permette di continuare ad esistere in un regime «in cui aveva il vanto di giocare e l'abitudine di perdere». Indica «l'ultimo avanzo di una società che i suoi avversari non hanno mai cessato di odiare» e quindi non sogna che «di venire a patti» con quello stesso avversario... È chi «arde dal desiderio di cedere alle tentazioni» e perciò «getta le armi senza per questo interrompere la guerra che gli veniva mossa». I suoi rappresentanti, insomma, «sono l'ultima emanazione di un mondo che sono incapaci di continuare poiché non lo comprendono nemmeno più. Dietro i radicali c'è un'ondata selvaggia che sale; dietro i moderati non c'è che una civiltà che muore».

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Fermiamoci un attimo e torniamo alla Francia politica di quel tempo. Politicamente parlando, i moderati fustigati da Bonnard altro non sono che quei monarchici che hanno tradito l'idea e l'essenza stessa della monarchia. Sono monarchici di nome, non di fatto: non credendo più nella sostanza che incarna il simbolo, sono divenuti il capro espiatorio e lo zimbello di quella Repubblica che ne ha preso il posto. Ma nella Francia degli anni Trenta, una restaurazione monarchica è ancora possibile? L'impasse del cinquantenne Bonnard è proprio questo. Nato sul finire del secolo precedente, la giovinezza di Bonnard ha coinciso con l'affermazione dell'Action Française di Charles Maurras, che è un movimento politico e un'associazione culturale: ha un suo quotidiano, ha i suoi giovani attivisti, i «camelots du roi», vi transita il meglio dell'intellighentia nazionale dell'epoca e Maurras è giudicato da tutti, avversari compresi, una delle menti più brillanti di Francia. A metà degli anni Venti però, il veto di adesione posto dalla Chiesa cattolica «alle scuole di coloro per cui gli interessi dei partiti precedono quelli della religione», condiziona pesantemente l'ambizione maurrassiana di mettersi alla testa di un movimento che sia al tempo stesso monarchico, cattolico e popolare... Sul versante repubblicano, l'aver portato la Francia alla vittoria nella Prima guerra mondiale, è un ulteriore contributo al mito di una Repubblica che, nata sulle rovine di Sedan, quarant'anni dopo ha inferto alla Germania la più cocente delle umiliazioni. In quegli stessi giorni del 1934 in cui Bonnard spera nella caduta della III Repubblica, Drieu la Rochelle, per quanto a sua volta speranzoso, non può fare a meno di notare che «il piccolo partito di Maurras è come il lievito nella pasta francese; ma quando la pasta si alza, si scopre che essa è fondamentalmente repubblicana». Tra Bonnard e Drieu passano una decina d'anni, sufficienti però perché al nostalgismo monarchico del primo subentri il «socialismo fascista» del secondo... Tra Bonnard e Robert Brasillach ne passano invece quasi trenta; ce n'è d'avanzo insomma perché con la ferocia della giovinezza quest'ultimo possa porre la questione monarchica nei suoi termini più crudi: «Sono noti gli argomenti portati da Charles Maurras a sostegno della monarchia. Essi ci appaiono, osiamo dirlo, non solo mirabili per rigore logico, ma fondati sull'esperienza e la verità. Tuttavia nessun monarchico ci contraddirà se affermiamo che a mezzogiorno non è notte e che in questo momento, non c'è il re... L'interregno, ormai, è prossimo al secolo e siamo a un punto in cui il monarca dovrebbe essere un Ugo Capeto, ossia molto più il primo che non il continuatore. Tocca al conte di Parigi far prova di essere Ugo Capeto. Non a noi».

Quando, su Je suis partout, Brasillach pone la pietra tombale sulla restaurazione monarchica, è il 1941 e i giochi ormai sono andati troppo avanti per poter tornare indietro. La III Repubblica si è squagliata nella primavera del 1940 come neve davanti al sole cingolato dei carri della Wehrmacht e Bonnard, come Drieu, come Brasillach, come lo stesso Maurras si è ritrovato a fianco di Pétain e del nuovo governo di Vichy. Le motivazioni per la stessa scelta sono fra loro contraddittorie e/o diverse (Maurras, per dirne soltanto una, resta fieramente antitedesco in un governo che per sopravvivere ha bisogno dei tedeschi...), e non staremo qui ad esaminarle. Di tutti però solo Bonnard è quello che ha un ruolo politico attivo: ministro dell'Educazione nazionale.

A guerra finita si ritroverà vinto e fuggiasco in Spagna, una condanna a morte in contumacia per «collaborazionismo col nemico». Nel 1960 la pena verrà commutata in dieci anni di esilio, già scontati. Morirà a Madrid, nel 1968.

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