Nella scelta degli autori che attraversano questo volume, mi sono limitato a quanti sono arrivati alla scadenza della loro vita, in larga misura entro il secolo scorso. Gino De Dominicis sfortunatamente è morto nel 1998, è morto Piero Guccione, è morto Giancarlo Vitali, nel 1971 è morto Gianfilippo Usellini che certamente dà il segno di una leggerezza di partenza in un secolo che conoscerà l'orrore.
I volumi del Tesoro d'Italia, e in particolare i due tomi dedicati al Novecento, sono fortemente carsici, pur dando conto di una storia dell'arte del Novecento che tutti conoscete: i futuristi, de Chirico, Morandi, Burri, Fontana. Ma a fianco di Fontana, per esempio, c'è Foppiani, a fianco di Burri c'è Asco. In questo volume, come nel precedente, io indico molte vite eccitate dalla comunicazione, a fianco di artisti straordinari invece abbandonati e dimenticati. Questo dualismo rispecchia la divisione, già indicata da altri, tra arte applicata e arte implicata, denominazione usata per indicare le opere di Leonardo Cremonini. L'arte applicata è l'arte di Andy Warhol e della Pop Art: la fotografia di Marilyn Monroe, di Mao Tse-tung diventa, ad esempio, un'opera d'arte; un orinatoio, da un bagno viene spostato e portato in un museo. Questa è arte applicata. Quando invece si rappresenta il dramma dell'uomo, pensiamo ad Antonio López García, a Lucian Freud, a Vitali, a Guccione, a Bacon, a Ferroni, questa è arte implicata. È più facile amare Bacon che Fontana, perché Fontana indica un processo intellettuale di interruzione: il taglio divide la tela dove finisce tutta la storia. Poi la pittura ricomincia, e quando siamo davanti a un'opera di Bacon sentiamo la tragedia dell'uomo, sentiamo che l'opera parla di noi, sentiamo di essere implicati.
L'arte implicata è quella in cui io credo, ed è spesso sotterranea. L'arte applicata è quella più nota. Un esempio di questa esperienza si ha nell'episodio Le vacanze intelligenti nel film collettivo Dove vai in vacanza?: i visitatori della Biennale si guardano per vedere cosa fa il vicino, perché, davanti a un'opera che non capiscono, temono di essere presi in giro. È come partecipare a un cupo funerale in cui ognuno viene legittimato soltanto dal suo vicino. Invece la parola «arte» evoca universalità, bellezza, assoluto. È singolare il fatto che se pensiamo all'arte pensiamo a qualcosa che unisce, mentre se pensiamo all'arte contemporanea pensiamo a qualcosa che divide.
Io ho cercato di riunire l'arte nel nome della bellezza, in questo secolo così difficile, che fra l'altro è il meno bello dei grandi secoli italiani, anche se è il più popolare. Quando un amico, Eugenio Busmanti, ebbe l'incarico da me per FMR, la rivista edita da Franco Maria Ricci, di fare un articolo sugli anni trenta del Novecento, rispose: «Sì, gli anni trenta del Novecento sono importanti, ma gli anni trenta del Duecento, gli anni trenta del Trecento, gli anni trenta del Quattrocento, gli anni trenta del Cinquecento?». Tutti gli anni trenta della nostra storia sono più significativi degli anni trenta del Novecento, che pur bellissimi sono parte del tempo che abbiamo vissuto. Per questo è molto difficile parlare di arte contemporanea, ma posso dire di essere certamente tra i più affidabili perché non seguo ideologie, sentimenti, emozioni e passioni personali, ma cerco di garantire a ognuno lo spazio che merita. La notorietà non indica il valore.
Il mio compito è stato quello di far emergere in questo secolo così complesso, così breve e così ricco, una quantità di autori dimenticati, che rappresentano la parte più suggestiva di questo percorso. Vi esorto a leggere il mio Novecento come qualcosa che sarà per voi rivelazione di percorsi segreti, di sentieri interrotti e di meravigliosi artisti sconosciuti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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