Cultura e Spettacoli

L'alchimia del rock'n'roll in un romanzo magico

Una "epidemia" di omicidi nel mondo della musica rivela uno sconcertante segreto su morte e rinascita

L'alchimia del rock'n'roll in un romanzo magico

Il romanzo «rock» ha una sua tradizione. Ricordiamo un paio di titoli molto apprezzati: Great Jones Street di Don DeLillo, Il tempo è un bastardo di Jennifer Egan. L'elenco potrebbe continuare all'infinito, partire da Nick Hornby, Jonathan Lethem, Rick Moody e arrivare a libri in cui la musica è meno in primo piano ma importante (Libertà di Jonathan Franzen) oppure onnipresente anche se nessuno dei protagonisti è un musicista (Meno di zero di Bret Easton Ellis). Ci sono bizzarrie degne di nota: Uccidi i tuoi amici di John Niven, ovvero cosa sarebbe successo se Patrick Bateman, invece di lavorare a Wall Street, avesse fatto il discografico inglese nell'era del Brit Pop (e così torniamo a Bret Easton Ellis, ma quello di American Psycho); e anche Sway di Zachary Lazar, la vera storia completamente inventata dei Rolling Stones.

A prima vista, anche Uccidi quei mostri. L'ultimo romanzo rock (traduzione di Seba Pezzani, SEM, pagg. 336, euro 17) di Jeff Jackson, anche musicista e artista, sembra inserirsi in questo filone variegato. Il titolo originale, Destroy All Monsters, è il nome della leggendaria band di Detroit dove militò, tra gli altri, il chitarrista Ron Asheton degli Stooges, uno che faceva paura, ma sul serio. La trama, in brevissimo. Un'epidemia di omicidi colpisce la scena musicale indipendente. I concerti, anche nella provinciale Arcadia, finiscono nel sangue. Tra il pubblico di ragazzini, si presentano sempre più spesso assassini che aprono il fuoco sui musicisti. Muore anche Shaun, aspirante rockstar, fidanzato della bizzarra Xenie, amico del tormentato chitarrista Florian. La morte di Shaun mette in moto una serie di piccoli eventi. Florian deve recuperare il suo amplificatore, rimasto «imprigionato» nel teatro chiuso come scena del crimine. All'interno della sala, c'è proprio Xenie, disperata e convinta di essere responsabile dell'ultima strage in città. L'aspirante manager Eddie segue Xenie e decide di prendersene cura, ma potrebbe essere anche il contrario, forse è la ragazza a farsi carico della fragilità di entrambi. Qui inizia un'altra storia. Jackson, dopo una ventina di pagine convenzionali, dà un poderoso colpo di acceleratore, si mette nella corsia di sorpasso, esce totalmente dal canone «romanzo rock» e ci mostra qualcosa di diverso (e di più interessante). Ora in primo piano ci sono immagini e simboli perturbanti, che colgono di sorpresa il lettore. Prima di tutto una domanda dalla risposta mai scontata quando si vanno a toccare immagini-archetipo come quelle che tra poco descriveremo: l'autore ne fa un uso consapevole? Non che la questione cambi di molto a seconda della risposta. Sono appunto archetipi, Carl Jung vi ha dedicato decine di anni di studio e migliaia di pagine tra le più affascinanti mai scritte. Noi tutti attribuiamo a esse un significato. Noi tutti le riconosciamo, anche senza essere al corrente della loro storia culturale. Noi tutti le sogniamo, ogni notte, anche se non ce ne ricordiamo. Comunque, dopo aver dato un'occhiata anche a Mira Corpora, romanzo pubblicato in Italia dall'editore Pidgin nel 2017, la risposta è: mr Jeff Jackson si direbbe del tutto consapevole di cosa ha buttato sul piatto, alzando nettamente la posta rispetto alla normalità ormai bolsa del «romanzo rock».

Partiamo dal bosco, il luogo chiave. Gran parte della vicenda, si svolge in una foresta oscura (o se volete «selva oscura»), all'inizio d'autunno. Dominano la scena segni di putrefazione ma si avverte un brulicare di vita ancora inespressa. Si potrebbero fare una decina di esempi, eccone un paio. Uno: «Il sentiero è una galleria verde. Le foglie cadute rendono sdrucciolevole il terreno molle. Nell'aria aleggia un odore nauseante di decomposizione». Due: «Foglie gialle cadono dagli alberi circostanti e i loro riflessi si incontrano. Xenie ne afferra una ed è sorpresa quando la sente sbriciolarsi tra i polpastrelli. Queste foglie devono essere morte da tanto tempo, dice». Il bosco è pieno di «bellezza corrotta», come gli splendidi cervi, che corrono impazziti, colpiti da una malattia misteriosa e inseguiti dai cacciatori. Al centro del bosco, vivono altrettanto misteriosi «senzatetto», non li vediamo mai, li sentiamo urlare, al centro del loro accampamento c'è un tumulo, forse è una tomba. Sono creature sospese tra la vita e la morte, nel Limbo o se preferite, e forse rende meglio l'idea, nel Bardo buddista, il luogo dove le anime attendono la reincarnazione.

Bene. Per quanto riguarda il bosco, possiamo dire che sarebbe piaciuto a Jung, e prima e dopo di lui agli iniziati della nobile arte, l'alchimia. Basta infatti una parola per descrivere il senso di queste scene: nigredo cioè il caos della putrefazione, una fase dolorosa ma necessaria per giungere alla rigenerazione. La rinascita puntualmente arriva attraverso il mezzo che sceglierebbe un alchimista: la fiamma, dalla quale ha origine l'albedo, la purificazione della materia (e dello spirito). Alla fine di un rito funebre artigianale, Xenie e Eddie fanno all'amore, di fianco a una tomba. Quando stanno per rialzarsi, si accorgono che «una striscia arancione ondeggia in lontananza. Una delicata cortina purificante di fiamme». Insomma: un incendio. Xenie si sente metaforicamente «accolta dal fuoco».

Anche la musica fa parte della cerimonia ma è un «rituale» ormai insensato. L'epidemia è necessaria, uccidere i musicisti sul palco è un sacrificio umano (René Girard, se ci ascolti: stiamo parlando di quello che ci hai insegnato). Non è tutto. Infatti una delle figure «mitiche» che aleggiano sul romanzo, la defunta madre di Florian, appartenente a una chiesa che dà solenne importanza alla musica, attribuisce alla melodia lo stesso significato che ha nei misteri greci: vi ricordate di un certo Orfeo, disceso nell'Ade armato della sua cetra? Ecco qua: «Sua mamma credeva che la musica potesse guidare l'anima del defunto nel suo viaggio finale».

Ultima osservazione: a questo punto risulta ovvio cosa significano le pagine nere (completamente nere) all'interno del libro, nigredo appunto, e anche gli episodi in inchiostro bianco su carta nera, nelle quali l'autore descrive un passerotto che impara a cantare. Gli uccelli, nella tradizione ermetica, sono messaggeri degli dei e portano speranza. Non è dunque un caso se incorniciano l'albedo di Xenie ed Eddie: «Intorno a loro, centinaia di passeri esplodono nell'aria».

Le sorprese non sono finite. Questo infatti è il lato A. Come in ogni album, segue il lato B, l'altra versione della storia, che spiega alcuni dettagli appena mostrati nel lato A. Qui i protagonisti sono gli assassini, e tocca ad altri morire, rispetto al lato A, ma ancora alla foresta si finisce: da lì escono i mostri, pronti a marciare su Arcadia per metterla a ferro e fuoco.

Che dire? Uccidi quei mostri è una rivelazione continua ed entusiasmante come la musica davvero buona.

Jung, e gli alchimisti prima e dopo di lui, lo avrebbero recensito con tre parole, sono poche però spiegano tutto, morte e rinascita, oscurità e luce, materia e spirito, uomo e universo, dissoluzione e ricomposizione: solve et coagula.

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