Stenio Solinas
da Venezia
Nell'Australia degli anni Venti del Novecento raccontata come fosse il far-west, indiani e negri convivono in un solo essere: gli aborigeni... Per il resto, è tutto come nell'originale made in Usa: coloni e cowboys bianchi, ubriaconi o lavoratori timorati di Dio, il saloon e la sua bella tenutaria, le giubbe blu, la legge e la forca, la frontiera e gli spazi infiniti, le espropriazioni delle terre e la sottomissione di un popolo. Succede che Sam, un indigeno guardiano di bestiame, uccide il proprietario terriero Harry March, reduce di guerra, razzista e alcolizzato. È legittima difesa, ma il primo è scuro di pelle, mentre il secondo ce l'ha chiara, e così Sam scappa portandosi dietro la moglie... Al suo inseguimento si mette la polizia militare e qualche vicino di ranch del defunto, ma loro non conoscono il territorio, il fuggitivo sì: è il suo, è quello dei suoi antenati. Così, qualcuno ci lascia la pelle, qualcun altro si salva solo perché è lo stesso Sam a tirarlo fuori dai guai. «Non mi avreste mai preso» dice con malcelato orgoglio quando alla fine decide di consegnarsi alla giustizia, «ma mia moglie è incinta e nel bush non sarebbe sopravvissuta».
Lento e solenne, e però per nulla enfatico, Sweet Country, di Warwick Thornton, ieri in concorso, si basa su una storia vera, quella di Wiliberta Jack, il suo processo, la sua imprevista assoluzione e poi la sua prevedibile morte in un'imboscata. «Ho voluto utilizzare un genere accessibile come il western dice il regista - perché il pubblico entrasse meglio nella storia e ne venisse conquistato, in modo così da comprendere meglio i problemi che un popolo occupato si trova ad affrontare. E mi interessava anche far rivivere quel senso di solitudine umana rispetto alla natura e agli spazi australiani, la difficoltà del conquistatore di fronte a un mondo che non era suo e di cui doveva imparare a rispettare le leggi non scritte».
Nato e cresciuto a Alice Spring, Thornton, già autore una decina di anni fa di Samson and Delilah, la storia d'amore fra due giovani aborigeni, Caméra d'Or al Festival di Cannes, ha sempre raccontato, in film e documentari, la sua terra, tanto suggestiva quanto poco conosciuta.
In The Darkside, presentato alla Berlinale, a essere protagoniste erano alcune storie aborigene di fantasmi, mentre nel suo ultimo documentario, We Don't Need a Map, a essere esplorata era la relazione dell'Australia con la costellazione della Croce del Sud. In Sweet Country, gli altopiani delle MacDonnell Ranges non hanno nulla da invidiare alle Montagne rocciose, anche se nessun cavaliere della valle solitaria abita più qui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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