Letteratura "maledetta" strenna perfetta. Il ritorno di Settecolori

La storica casa editrice prepara un audace catalogo: si va da Hopkirk a Rebatet e Berto

Letteratura "maledetta" strenna perfetta. Il ritorno di Settecolori

Per Natale, nessuna indecisione su cosa mettere sotto l'albero. La strenna perfetta c'è già. Basta sottoscrivere uno degli abbonamenti proposti dalla «rinata» casa editrice Settecolori per assicurarsi, e assicurare a parenti e amici, una infilata di capolavori «maledetti». «Maledetti», s'intende, solo dal conformismo e dalla paura dell'editoria italiana, assopitasi al riparo del politicamente corretto e tuttora addormentata. L'industria è convinta che esistano solo alcune tipologie di lettori, e a queste si rivolge: fedeli spettatori di Chetempochefa; «maestri» e «maestre» democratiche di sinistra; consumisti generici che entrano in cartoleria-focacceria-libreria per comprare una penna e se ne escono con il bestseller vicino alle casse. Risultato numero uno: il resto d'Italia, che non è numericamente irrilevante, entra in cartoleria-focacceria-libreria pronto a spendere ed esce a mani vuote perché non trova niente di suo interesse. Risultato numero due: il dibattito ne risente e diventa un pantano nella quale la cultura italiana, ormai irrilevante, si inabissa. Risultato numero tre: il mercato traballa in mancanza di un megaseller, non ci sono più gli Harry Potter di una volta. Ultima considerazione: nulla è più triste di pubblicare libri inutili per vendere e poi non riuscire neppure a venderli.

Con le edizioni Settecolori navighiamo in altre acque. Il catalogo storico è ben noto a molti lettori di questo giornale. Tra gli stranieri, ha pubblicato Robert Brasillach, Jean Cau, Alain de Benoist, Pierre Drieu La Rochelle. Tra gli italiani, Giuseppe Berto, Alberto Pasolini Zanelli, Stenio Solinas. Due titoli per tutti. C'eravamo tanto armati, (1984), il primo e ultimo, per i motivi di cui sopra, libro collettaneo sugli anni Settanta, con interventi di Massimo Cacciari, Massimo Fini, Paolo Isotta, Giordano Bruno Guerri; e il pluripremiato Fratelli separati, Drieu, Aragon, Malraux (2007) di Maurizio Serra.

Dopo la morte del fondatore Pino Grillo, e un periodo di relativa pausa, il figlio Manuel ora rilancia la casa editrice con un nuovo assetto imprenditoriale e societario ma soprattutto con un piano editoriale «pazzesco» per il 2021-2022.

Si parte con Sulle tracce di Kim di Peter Hopkirk (in libreria dal 21 gennaio). Hopkirk, noto in Italia per Il grande gioco, atipico bestseller per Adelphi, ripercorre le tracce di Kim, protagonista dell'omonimo romanzo, nell'India di Rudyard Kipling.

Qualche altro titolo, per gradire. I due stendardi di Lucien Rebatet, un'impresa, sono 1312 pagine di romanzo sempre atteso e mai uscito nel nostro Paese. Eccolo qua, traduzione di Marco Settimini e prefazione illuminante di Stenio Solinas. Rebatet (1903-1972), critico musicale e cinematografico dell'Action française, fu una figura centrale della destra francese degli anni Trenta. Antisemita convinto, nel 1942 pubblica Les Décombres, pamphlet politico sulla sconfitta francese. Collaborazionista, tenta la fuga ma viene arrestato in Austria nel 1945. Prima condannato a morte, finisce poi ai lavori forzati. Torna in libertà nel 1952. In carcere scrive I due stendardi. Cediamo la parola a George Steiner: «Ritengo I due stendardi uno dei capolavori segreti della letteratura moderna, superiore a qualsiasi libro di Céline, eccetto forse il Voyage. L'articolarsi della triplice relazione fra Michel, Régis e Anne-Marie, una creazione quest'ultima paragonabile per pienezza di vita, fascino fisico e psicologico, alla Natascia di Tolstoi, la grande fuga erotica sulla quale si chiude il romanzo sono capolavori d'immaginazione».

Le prime edizioni non si contano: La fionda di Ernst Jünger, La seconda morte di Ramón Mercader di Jorge Semprún, Londra di Paul Morand, 338171 T.E. di Victoria Ocampo, Servizio inutile di Henry de Montherlant... Il meglio della letteratura che sarebbe riduttivo definire «di destra». Stiamo parlando di autori e di libri che appartengono, nel resto d'Europa, al bagaglio di chiunque si dichiari mediamente «colto». Da noi subiscono ancora un veto ideologico tre volte assurdo: non si distingue l'autore dalle sue opere; si rinuncia a capire una parte della storia; si impedisce la circolazione di idee che, in moltissimi casi, non hanno nulla di sconveniente o controverso (se non per i bigotti appartenenti a tutti gli orientamenti ideologici).

Interessante il ripescaggio di Antoine Blondin (1922-1991), assieme a Roger Nimier, Jacques Laurent e Michel Deon, esponente della (non) corrente letteraria degli Ussari, gli anti-esistenzialisti che si opposero al dominio di Jean-Paul Sartre sulla cultura francese. Dopo qualche fugace apparizione, specie nel catalogo Longanesi d'un tempo, Blondin e gli altri Ussari si sono inabissati nel nulla editoriale. Peccato perché sono autori di romanzi belli come Una scimmia in inverno, storia di un emarginato, un alcolizzato che attraverso l'amicizia finisce (forse) col trovare un senso alla propria sconclusionata vita.

Tra gli italiani, c'è Giuseppe Berto, tratto d'unione fra la prima e la seconda vita di Settecolori. Il suo Elogio della vanità è accompagnato dalla prefazione di Cesare De Michelis. Il libro è un delizioso pamphlet «settecentesco» che ritrae la società in cui la principale attività è la ricerca del successo attraverso un ridicolo esibizionismo. Chissà se Berto avesse visto Facebook o Instagram.

E torniamo alla strenna da cui siamo partiti: prima del lancio in libreria, è possibile

sottoscrivere abbonamenti ordinari e da sostenitori. Cifre diverse danno diritto a un diverso numero di volumi (tutti in edizione a tiratura limitata di 300 copie; subito riceverete il saggio di Hopkirk; info@settecolori.it).

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