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"L'opera al nero" un classico che sfida il tempo

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"L'opera al nero" un classico che sfida il tempo

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In principio «ho fatto redigere il suo oroscopo», poi, terminato il romanzo, «ho ripetuto il nome di Zenone almeno trecento volte, o anche più, per avvicinare a me quella personalità». Marguerite Yourcenar, nella casa di Mount Desert, con gli occhi stretti come candele nella bocca di Minotauro, sciarpa sui capelli, sembrava una Sibilla: sa fare il pane, è libera, potrebbe abbandonare ogni cosa da un momento all'altro e insegna che tra il creatore e la sua creatura può stringersi un legame enigmatico e implacabile, che una creazione può protrarsi per decenni prima di trovare la forma risoluta ma pur sempre aleatoria di un libro. Zenone, il protagonista de L'opera al nero, è nato il 27 febbraio del 1510 da una madre, Hilzonde, massacrata nella presa della città anabattista di Münster, dove rigurgitavano entusiasti e folli di Dio, e da «messer Alberico de' Numi» che «aveva brillato alla corte dei Borgia» e «si era dilettato a conversare di cavalli e di macchine da guerra con Leonardo da Vinci», è filosofo, alchimista, vagabondo, medico.

Zenone appare nella mente della Yourcenar a vent'anni, si consolida in un racconto pubblicato nel 1934, D'après Dürer, torna alla scrittrice nel 1955, diventa romanzo nel 1968, cinquant'anni fa. Nel 1951 uscì Memorie di Adriano, e Adriano e Zenone abitano nella Yourcenar come gemelli, sì («per quanto riguarda l'intelligenza, sono affini»), ma opposti: uno, l'imperatore, è realmente esistito, «è molto più sanguigno», è solare; l'altro, l'alchimista, è un personaggio fittizio, lunare, «indistruttibile» e dal destino «molto più cupo». Uomo indimenticato perché tutti dimentica tranne le proprie ossessioni («Non sono di quelli che tornano indietro...vi dimenticherò», dice, bel tenebroso, alla Wiwine che lo amerà per sempre), Zenone ha un pari nel metallico e imperscrutabile Eric von Lhomond, protagonista de Il colpo di grazia, algido capolavoro della Yourcenar. Adornato da un Prix Femina, dannato da un pessimo film (con Gian Maria Volontè, era il 1988), adorato come romanzo astrale, dalle frasi indimenticabili («posso anche supporre che il marmo, stanco di aver conservato così a lungo le umane sembianze, si rallegri di ridiventare semplice pietra: la creatura al contrario, teme il ritorno alla sostanza informe»), L'opera al nero, per ambizione filosofica e tenuta formale il passo aristocratico e definitivo della Yourcenar è il vero «classico» del Novecento, trionfa sui tronfi scrittori «made in Usa» ed è più leggibile, oggi, di un Thomas Mann. Stordisce la data.

L'opera al nero è in circolo dal 1968, è il Sessantotto della letteratura contemporanea. Quando le chiedono se sia «un'opera contestataria», un libro della «contestazione», la Yourcenar nicchia. «Se per contestataria s'intende antistituzionale, allora sì. Perché Zenone si pone contro tutto: contro le università quando è giovane, contro la famiglia, egli respinge l'ideologia e l'intellettualismo del suo tempo».

Avessero imbracciato L'opera al nero al posto del Libretto rosso i sessantottini, avessero preferito la Yourcenar a Sartre..

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