«Lo stile è un distillato. È il mio 23esimo libro, ho fatto un lavoro sulla parola da alchimista» dice Susanna Tamaro. «Perché una fiaba di questa profondità aveva bisogno di parole perfette. È stato difficilissimo, ho impiegato due anni». La Tigre e l'Acrobata, il nuovo libro di Susanna Tamaro (La nave di Teseo) è una fiaba, ma «solo apparentemente per ragazzi», dice lei.
Come mai una fiaba?
«Abbiamo bisogno di essere nutriti da realtà fantastiche, che ci illuminino sulla nostra vita reale. Ho studiato molto le fiabe: ci dicono una verità profonda, complessa sulla nostra natura».
Quale verità racconta la storia di Piccola Tigre e della sua crescita nella Taiga?
«Che la vita è una trasformazione continua. Una verità molto contraria a questo tempo, che ci vuole tutti sempre uguali, immobili: sempre giovani, belli, sani e perfetti. Ma se ti fossilizzi è un tradimento della natura umana».
Ma lei è un po' tigre?
«Sì, molto. Sono una persona solitaria, con una grande energia fisica. Sarei molto feroce... Mi devo controllare ed educare».
Quando diventa feroce?
«Quando le cose non vanno come voglio io, darei delle zampate ovunque. Non sono molto democratica di natura, però con un percorso interiore mi sono trasformata in una persona malleabile».
È irrequieta come la tigre?
«È il mantra della vita: quando ti accontenti, la vita perde interesse. Serve un orizzonte alto, anche se così la vita è più complicata».
È una che non si accontenta? Per questo non si è sposata?
«Mai. Non mi sono mai sposata perché la tigre è solitaria. A 35 anni ho capito che non potevo vivere con una persona con cui condividere tutto, anche il letto».
Si è molto parlato del fatto che viva da anni con una donna, che però non è la sua fidanzata.
«Non lo è, infatti. D'altra parte vivere da soli è triste. Ho capito che per me l'ideale è vivere in compagnia, ma senza un legame sentimentale. È una amicizia».
I gay però si sono arrabbiati, dicono non abbia il coraggio di dichiararsi omosessuale.
«Non capisco perché. Devo falsificare la mia vita per fare contenti i movimenti? È il paradosso del conformismo. Ma io sono una persona libera e faccio scelte libere: mi rifiuto di essere incasellata in queste gabbie terribili».
Quali sono le gabbie oggi?
«Il modello omologato di un uomo piatto, senza orizzonti complessi, passivo esecutore. Io non disprezzo la tecnica, anzi, adoro passare ore a navigare col tablet. Però con bambini e ragazzi questi mezzi diventano un terzo educatore, e allora bisogna chiedersi: ma a che cosa mi educano, chi dà l'orizzonte di questi mezzi?»
I bambini vanno protetti?
«Sì. Non è un problema moralistico, bensì neurologico: si abituano che basta premere un tasto e hai quello che vuoi, così il cervello diventa pigro».
Altre bandiere dell'omologazione?
«L'essere sessualmente definito. Io sono stata sempre controcorrente, ma ho pagato un prezzo altissimo. E poi l'ipersessualità: ormai sei il sesso che fai. Ma è falso. La vita non è il sesso: il sesso è una parte meravigliosa della vita, ma non può essere la tua identità. Pensiamo al bullismo sessuale a scuola, c'è da avere paura. Servirebbero classi separate per maschi e femmine».
Nel libro dice che l'uomo è l'unico a uccidere per invidia. Lei ne ha subita molta?
«Oh, chi più di me. Maremoti di invidia. Nel nostro Paese, se hai successo sei penalizzato: non te lo meriti, sei un furbo».
Dopo Va' dove ti porta il cuore, che ha venduto 15 milioni di copie nel mondo, è stata accusata di sentimentalismo.
«Se c'è una cosa che non sono... Sono osservatrice, razionale. Lo aborro. Chi lo dice penso non abbia mai letto i miei libri: c'è il male, la sopraffazione, il dolore, la lotta per la vita. Non ho mai scritto una lettera d'amore».
È attaccata anche per la sua fede. Perché?
«Non mi sono mai dichiarata cattolica».
Che non è un delitto.
«No, non lo è. Ma c'è una confusione per cui, se uno si interessa della parte più misteriosa dell'uomo, allora è un servo dei preti. Io sono credente, ma non ho mai fatto apologie del cattolicesimo».
Che cosa fa?
«Parlo del mistero, del male, del perdono. Lo fa anche Dostoevskij. Ma essere liberi dà fastidio, ti gettano subito addosso delle etichette. Che poi, tutti pensano ai preti, nessuno che pensi alla sua anima e alla sua coscienza».
La sua favola ha un messaggio morale.
«Ma non è moralistica. Odio i moralisti, hanno qualcosa di falso, di sinistro. Dicono delle cose e poi fanno il contrario, e si sentono superiori. Io indico una via etica di cammino, di rapporto lucido con la propria coscienza: fare il possibile per diventare se stessi».
Ha sempre voluto scrivere?
«No, la mia passione era la scienza. Volevo studiare agraria, zooologia, il comportamento degli animali. Ho una mente molto razionale».
E come è diventata scrittrice?
«Mi è successo. La vocazione. Oggi leggo soprattutto saggi di zoologia, chimica, agricoltura, neurologia, arti marziali. E poesia contemporanea».
Il suo libro preferito?
«La Bibbia, perché c'è tutto».
Il personaggio?
«Pinocchio. Meraviglioso».
Due anni fa ha ricevuto due premi: il San Giusto d'oro dalla sua città, Trieste, e lo Strega ragazzi.
«Ero esterrefatta. Va' dove ti porta il cuore è stato un successo enorme, ma io sono una fuori dai canoni, non faccio gruppo, non vado alle cene. E poi ho la nomea di non essere di sinistra, un grave handicap in Italia: non si premia uno che non appartiene a un certo orientamento culturale. Però lo Strega è stato votato dai bambini, non hanno potuto manipolarli...»
Perché dà così fastidio?
«Per il successo. E perché non l'ho cavalcato. Uno che rifiuta il potere non è tollerato».
Ha i suoi demoni, come quelli che popolano la Taiga?
«Sono piena. Vivo con un cargo di demoni».
Ha l'aria serena.
«Sì, sono serena, ma conosco le tenebre, bene».
Che cosa sogna?
«Mi sarebbe piaciuto fare l'acrobata. Il salto mortale, il trapezio. Ho il rimpianto di non avere imparato prima».
Altri rimpianti? Magari di non avere avuto figli?
«No. Non ho mai desiderato avere figli, solo da giovane, quando ero innamorata. E dopo... Sa, sono un po' tradizionalista, quindi dovrei immaginarmi qualcuno con cui farli».
Però scrive di maternità.
«Perché ho un grande spirito di maternità, che è quello che conta. Ho cresciuto e mi sono occupata di tanti bambini».
È vero che Moravia le consigliò di andare in Germania?
«Sì. Diceva che i miei libri erano troppo seri, troppo profondi per il pubblico italiano, che cercava di più lo svago...»
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