Cultura e Spettacoli

Mina, un (Paolo) Conte per la regina

Nel disco "Maeba" c'è anche un (bel) duetto con il cantautore

Mina, un (Paolo) Conte per la regina

Ormai è evidente: la voce di Mina non ha età. Non invecchia, ma proprio neanche un po'. Dopo 60 anni di carriera, 74 album e alla vigilia del suo settantottesimo compleanno, anche nel nuovo Maeba il suo timbro è unico e cristallino ed è così dinoccolato, così agile da adattarsi al jazz o al rock'n'roll senza cedere un millimetro di personalità. «E dire che ha anche ripreso a fumare», scherza (ma neanche tanto) suo figlio Massimiliano Pani mentre presenta le nuovi canzoni nello studio di registrazione di Lugano, austero ed elegante, molto poco autocelebrativo ma con pezzi di storia sparsi qui e là, un prezioso mellotron all'ingresso e foto storiche appese alle pareti.
«In realtà Mina non ha dissipato la voce in migliaia di concerti e poi ha il talento naturale di saperla utilizzare e di avere sempre le idee chiare su come farlo» aggiunge suo figlio, che ha prodotto Maeba e, come sempre, è l'esegeta più sincero della cantante invisibile più famosa di tutti i tempi.
Stavolta gli va ancora meglio del solito: questo disco è probabilmente uno dei migliori di Mina negli ultimi vent'anni. Merito di una interprete che non ha concorrenti, ovvio. Ma anche di canzoni che non perdono intensità e, soprattutto, non hanno steccati. Tanto per dire, 'A minestrina è stata composta da Paolo Conte che la canta con lei nel suo personalissimo, immaginandosi uno struggente, malinconico dialogo d'amore tra due persone anziane che si preparano una minestrina. «Un giorno Paolo Conte mi ha telefonato e ha detto: Ho scritto un pezzo per Mina. E io potevo dirgli di no?», riassume Pani senza bisogno di risposta. Disco da godere, questo Maeba, e molto più «giovane» di tanti pubblicati da interpreti che hanno la stessa età dei nipoti di Mina. E per capirlo non c'è bisogno di arrivare all'ultimo brano in scaletta, il lisergico Un soffio con la musica scritta da Davide Boosta Dileo dei Subsonica. Già nell'iniziale Volevo scriverti da tanto (il primo singolo) c'è la Mina senza tempo, quella chanteuse stile anni '70 che «ho litigato con Dio» ma «ho fatto pace con me, per sempre». Nella giocosa, irriverente Il mio amore disperato c'è l'ultimo testo di Paolo Limiti prima della malattia. In Ti meriti l'inferno, l'acuto in «Ma io vorrei dirti cosa sento...» è così affilato da togliere il fiato. E la spericolatezza interpretativa di Argini vale una lezione di canto. Dopotutto, lei è una che - come ricorda suo figlio - «ha iniziato quando le registrazioni si facevano solo su due piste, non c'erano tutte le possibilità digitali di oggi, quindi o sapevi cantare bene oppure ciao». Sessant'anni fa almeno.
E il ricordo di quei tempi, di quando Mina Mazzini era Baby Gate e cantava il rock'n'roll c'è nella versione di Heartbreak hotel che Elvis Presley pubblicò nel 1956. «È come la faceva lei nei locali a quel tempo», dice Pani. Un contrabbasso che fa vibrare il cuore, un accento inglese impeccabile. Anche nella versione jazzata di Last Christmas di George Michael, Mina sembra madrelingua nella versione senza lustrini di un super classico vestito a nuovo. Se poi ci aggiungete una divertente Ci vuole un po' di rock'n'roll e Troppe note, che forse è la più manierata del disco, ecco perché questo disco rimarrà nella top ten della Mina più recente. «Lei si diverte ancora e a volte nelle versioni finali dei suoi brani lascia anche qualche imprecisione per non perdere l'intensità dell'interpretazione». In fondo la lucidità è da sempre una delle sue caratteristiche. «Quando mia mamma ha capito che la tv stava cambiando, ha smesso di farla». Ma ora almeno la guarda? «Certo, ma si va a cercare i programmi più belli, tanto ormai ci sono così tante reti a disposizione...».
E nell'era dell'immagine a tutti i costi, è giusto ricordare che Mina è stata la prima cantante pop a giocare con il proprio volto. Decenni prima di Madonna o Lady Gaga. E la Mina che è sulla copertina di Maeba è un pallido avatar che conserva sensualità grazie al marcatissimo kajal intorno agli occhi e lascia intravedere una traccia maledetta nel rosso delle pupille. In poche parole, un disco che ha ancora un senso nell'epoca dei singoli buttati sul mercato ogni tre per due e dei dischi pubblicati soltanto per andare in tournèe.

Così si fa, se la musica ha ancora un senso artistico.

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