Luca Pavanel
C'era una volta il «Prete rosso», ovvero Antonio Vivaldi da Venezia. Di questo compositore, uno degli astri della musica barocca italiana, si credeva di sapere tutto. Invece no: ufficialmente da un armadio di un palazzo patrizio di Pisa, fino a ieri inaccessibile, è «spuntata» una sua opera sconosciuta (in realtà la faccenda è più complicata ed è al momento top secret). Una partitura che verrà presentata in anteprima mondiale giovedì 30 agosto dall'ensemble Auser Musici diretto dal maestro Carlo Ipata nella Chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri che si trova proprio nella città della torre pendente. L'atteso concerto inaugurerà «Sound of stones», il festival toscano di musica antica che, arrivato alla XXIII edizione, parte in quarta appunto con il «caso Vivaldi». La parola allo scopritore.
«Qualche mese fa - racconta il musicista - finalmente ho potuto visionare un fondo musicale privato, una raccolta di brani, circa quattrocento, che venivano eseguiti probabilmente negli anni centrali del Settecento. Fra quel pregiato materiale ho trovato le pagine vivaldiane in questione. Per la precisione una Sonata per due violini e basso». Si tratta di un'ampia «sonata in la maggiore da chiesa nei canonici quattro movimenti andante-allegro-andante-allegro caratterizzata da una scrittura molto accurata». Come ogni tanto capita non è mancata qualche riserva su «punti che sembrano il frutto di disattenzione del copista» che in ogni caso doveva avere conoscenza diretta del «Prete rosso» dal momento «che lo definiva don». Già, proprio così.
Sul ritrovamento è intervenuto pure Federico Sardelli, uno dei massimi esperti mondiali della materia. Ebbene, il musicologo, che ha parlato dello spartito anche in un recente articolo su Robinson, dopo aver fatto diverse analisi e discussioni con il collega americano Michael Talbot, alla fine ha deciso di assegnare alla sonata il numero di catalogo «Rv Anh. 158». Che nel linguaggio degli addetti ai lavori significa: un'opera attribuita a Vivaldi dalle fonti ma che presenta elementi stilistici dubbi. Un lavoro da certosini. Del resto la filologia ha dato agli studiosi un bel po' di strumenti per procedere verso l'attribuzione di un'opera, afferma nel suo intervento il ricercatore di chiara fama, «ma anche questo cammino è irto di trappole». Insomma chi vivrà vedrà (o meglio sentirà). E l'esecuzione in anteprima potrà dare altri elementi. Come a dire che di scavare non si finisce mai.
Il lavoro degli studiosi, alle prese con il mare magnum della produzione dei secoli scorsi, in parte ancora inesplorata, è tutt'altro che facile. Loro, gli speleologi del pentagramma, possono somigliare all'immagine dell'eremita che sui sentieri della conoscenza avanza a piccoli passi, aiutandosi con un lanternino. E, difficoltà a parte, succede meno raramente di veder «spuntare» inediti, pagine mai suonate, note di cui non si avevano notizie. Un ritorno massiccio al passato, alla voglia di portalo alla luce.
«Ci sono - spiega Ipata - vari fattori da considerare. Gli esperti che si occupano di queste tematiche numericamente sono aumentati e sono più agguerriti di prima». Per dirne un'altra, c'è la questione delle biblioteche dell'allora Germania dell'Est, del blocco sovietico che fino agli anni Ottanta erano al di là della Cortina di ferro, irraggiungibili. Anche da quei luoghi sono giunte belle sorprese. «Adesso l'opera della musicologia - aggiunge Ipata - è cercare i tasselli che mancano nella ricostruzione del panorama storico dal quale sono emersi i giganti della musica». C'è pure uno sguardo più approfondito sui compositori cosiddetti «minori». Tra i quali - prendendone uno tra quelli di cui si è occupato l'Auser Musici, specializzato nel repertorio toscano - Francesco Gasparini da Camaiore, a cavallo tra Sei e Settecento («grandi relazioni con Händel - vien ricordato - con una produzione in vita spaventosa, 60 opere»). Non solo lavoro di scavo, però; un impegno anche per cercare ispirazione e spunti utili alla produzione di nuova musica. Su questo sentiero in prima fila sono i compositori cosiddetti «neo-melodici» con il ritorno all'uso massiccio della tonalità, che le avanguardie degli anni Settanta avevano bandito. O quasi.
«In generale - conclude Ipata - l'impegno attuale è riconducibile a quello che storicamente molti musicisti hanno sempre fatto. Cioè la contaminazione».
Un discorso però che probabilmente non vale nel caso di Vivaldi e di altre figure del suo calibro. Già, il «Prete rosso»: aveva una personalità forte, fortissima e ha lasciato un catalogo mastodontico, lui è forse l'autore più copiato in assoluto. «Nel suo tempo da Venezia dettava la linea».
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