Nel romanzo Il luogo senza confini di José Donoso, il luogo in questione è un bordello di cui un arrogante latifondista si vuole impossessare. E in un racconto di Theodore Francis Powys, l'esatta demarcazione dei territori di due comuni in conflitto fra loro prevede che un tratto di confine passi all'interno di un appartamento. Bizzarre e fertili fantasie letterarie, che tuttavia impallidiscono di fronte a una storia vera, talmente vera che potrebbe essere finta dalla prima all'ultima parola. È quella raccontata in Terra di nessuno (Keller Editore, pagg. 286, euro 17,50, traduzione di Andrea Costa). «Nulla del contenuto di questo libro è inventato», scrive infatti l'autore, l'olandese Philip Dröge, nella «Premessa».
Protagonista della vicenda è proprio un «luogo senza confini» (o con troppi confini, il che all'atto pratico fa lo stesso) come quello di Donoso, un luogo in cui l'insostenibile pervasività dei poteri contrapposti descritta da Powys giunge a vette da teatro dell'assurdo. Si tratta del Moresnet neutrale. Che, per un motivo o per l'altro, non è una nazione, non è uno Stato, non è una colonia, non è un'enclave. Anzi, non lo era. Perché il Moresnet neutrale, nato nel 1816 nelle more del Congresso di Vienna, sparì nel 1919-20 nelle more del Trattato di Versailles. «Nelle more», per i comuni cittadini di tutto il mondo significa «nel casino» di un iter giuridico-burocratico, tipo quelli che riguardano ancor oggi l'Europa, anche in assenza di guerre e per di più unita. E si sa che quando c'è casino tutti tentano di approfittarne, di arraffare e portare a casa, infischiandosene della precisione, sottovalutando le conseguenze, mettendo nero su bianco con sciatteria. Oppure... «usando delle matite dalla punta grossa, così grossa che interi Paesi scompaiono sotto le linee», dice Dröge.
Gli antefatti sono due, e decisivi. Nel primo secolo dopo Cristo, Plinio il Vecchio scrive un trattato, molto più affascinante di quello andato in scena a Versailles, dal titolo Naturalis Historia, in cui cita, per la prima volta al mondo, l'estrazione della cadmia o lapis calaminaris. Dove? In un posto che i germani, storpiando cadmia, chiamano Kelmis, destinata a diventare la capitale del Moresnet neutrale. Il secondo antefatto riguarda un oggetto: la vasca da bagno di Napoleone Bonaparte. Gliela regala nel 1809 un suo fervente ammiratore di Liegi, il metallurgista e chimico Jean-Jacques Daniel Dony. Era proprio una vasca imperiale, perché lì dentro l'acqua non si raffreddava mai grazie a un ingegnoso sistema, e soprattutto grazie al materiale di cui era fatta: lo zinco, ottimo conduttore termico e molto resistente alla corrosione e all'attacco degli acidi. E da dove si estrae lo zinco? Dalla cadmia di cui parlava Plinio. E Dony che cosa chiese umilmente a Sua Maestà, dopo esserselo ingraziato con cotanto regalo? La concessione di estrarre zinco nel dipartimento dell'Ourthe. Che guarda caso comprendeva Kelmis, cioè il nascituro Moresnet neutrale. Napoleone, sensibile nei confronti degli adulatori come tutti i capi, magnanimo acconsente, e aggiunge a sua volta un cadeau: il brevetto per produrre lo zinco.
Forse, se Dony fosse stato abile come uomo d'affari quanto lo era come inventore, il Moresnet neutrale non sarebbe esistito. Tuttavia la Storia non si fa con i «se» e con i «ma». Lo capì a proprie spese persino Napoleone. Di lì a pochi anni il Congresso di Vienna rimise a posto (si fa per dire) l'Europa dopo lo tsunami Bonaparte, riservando a quello spicchio di terra che conteneva la miniera cui attingeva Dony alcuni grossolani tratti a matita. Ma il cordone ombelicale che univa il Moresnet neutrale all'imperatore era solidissimo, si chiamava Codice napoleonico, e nessuno poté tagliarlo del tutto.
Certo che la Natura, con il concorso esterno delle citate more geopolitiche e militari, ha fatto un bello scherzo, collocando la miniera di monsieur Dony (il quale se ne andò nel 1819, anticipando di tre anni il suo benefattore) in un angolino fra la Prussia, l'Olanda e, dal 1830-31, quando si rese indipendente dall'Olanda, il Belgio. Dopo che Napoleone esce con le ossa rotte dalla campagna di Russia e conseguentemente Dony, in gravi difficoltà finanziarie, cede a François-Dominique Mosselman, un fiammingo ricco sfondato, la miniera di Kelmis, possiamo dire che il Moresnet neutrale entra in gestazione. Dove? Nel ventre fin troppo capiente del Congresso di Vienna. Lì i papaveri delle grandi nazioni, distratti dalle belle donne e dalle libagioni, quando devono delimitare i tre chilometri e mezzo quadrati che comprendono il piccolo borgo di Moresnet, Kelmis e la miniera, hanno la mano non troppo ferma. Scarabocchiano, più che altro. E poi non sanno quale statuto possa avere, quel sassolino nella scarpa dell'Europa.
Sta di fatto che le poche centinaia (poi diventate alcune migliaia) di abitanti del Moresnet neutrale, ovviamente in gran parte minatori con relative famiglie, sperimentano per un secolo il meglio e il peggio che si possa chiedere a una nazione. Da una parte: tasse zero, perché nessuno può dire a chi le dovrebbero versare (a un certo punto i tedeschi pretendono di imporre un'aliquota unica del 3 per cento, roba che oggi Renato Brunetta non oserebbe nemmeno sognare, ma poi l'idea finisce in cavalleria); prezzi bassissimi, perché non esistono dazi; servizio militare inesistente, mancando un esercito. Dall'altra parte: aumento della criminalità in fuga dalle varie polizie; aumento dell'inquinamento causato dalla miniera; aumento delle mire espansionistiche degli stranieri.
Tra francobolli che si stampano ma non si possono emettere, matrimoni misti che si combinano ma non s'hanno da fare, prostitute quasi gratis, un sindaco-re prima illuminato, poi declassato, infine traditore, l'utopico progetto di accogliere l'esperanto come lingua ufficiale (e dunque di assumere il nome di «Amikejo», cioè «Luogo dell'Amicizia»), le visite dei turisti provenienti da ogni parte del mondo, attratti da quel luna park extraterritoriale dove fra l'altro la roulette girava persino più rapidamente che in un altro posticino interessante d'Europa, il principato di Monaco, c'era un solo punto fermo: i moresnettiani volevano rimanere tali. Come confermò, con il 95 per cento dei pareri, una sorta di referendum consultivo nel 1906. «Neutrali sempre, belgi forse, tedeschi mai!» era il loro motto. Ma poi, sulla ruota del Trattato di Versailles, nel 1919 uscì il «forse», cioè il Belgio, e i moresnettiani furono incasellati nella provincia di Liegi. Fine della corsa, si scende.
La storia del Moresnet neutrale è stata breve ma
intensa. Ed è fin troppo facile pensare che oggi, se esistesse ancora in quest'Europa unita soltanto a parole, prima o poi le pagine delle cronache estere dei giornali dovrebbero ospitare qualche articolo sul «Moresnexit».
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