Cultura e Spettacoli

Nani, preti e crudeltà Anti-romanzo grottesco (in forma di diario) Firmato Permunian

Leggendo l'ultimo libro di Francesco Permunian, Sillabario dell'amor crudele (Chiarelettere, pagg. 204, euro 16), mi sono accorto di ragionare insistentemente su una parola: «grottesco». La si potrebbe riferire a una situazione di vita in cui le azioni di uno o più uomini mettono in evidenza un aspetto ridicolo, goffo, bizzarro del loro carattere. Eppure la parola era riferita, in origine, a pitture grottesche, ovvero scovate nelle grotte. Come il significato si sia traslato nel tempo non interessa in questa sede. Ciò che interessa è come quella grotta rimandi a un luogo, uno spazio che diremmo segreto, oscuro. Allora, per estensione, grottesco è qualcosa che rende manifesto ciò che solitamente resta nell'ombra. Credo sia in fondo questa l'operazione che compie Permunian con il suo libro.

Ma di che libro si tratta? Occorre partire dal titolo. Sono convinto che Permunian abbia usato il «Sillabario» come un espediente. Cosa voglio dire? Che se ogni capitolo dell'opera ha come traccia una o più parole che in qualche misura tracciano un filo conduttore, una linea attraverso cui l'autore muove il suo percorso narrativo, la verità è che quelle parole sono la sostituzione di ciò che, in una forma diaristica pura, sarebbero giorni e mesi di un anno. Ecco, la questione è di natura puramente strutturale. Se l'autore usa parole e non date è per un motivo preciso; un motivo che ricorre spesso nelle sue opere. Permunian rifiuta il romanzo in senso tradizionale; meglio: rifiuta l'idea che un libro narrativo si costruisca con una trama che sia un prodotto standardizzato, un libro che rispetti un'ideale e illusoria equazione di leggibilità e fruibilità. Se invece preferisce una forma diaristica non è perché rifiuti la finzione ma perché vuole portarla al suo punto estremo.

L'argomento strutturale si collega quindi, in maniera indissolubile, a quello di contenuto. Cos'è in definitiva questo particolare diario se non la massima finzione di cui l'uomo è capace? La voce narrante è quella del nano Baseggio che racconta il suo trauma infantile e adolescenziale, quello di essere stato violato sessualmente dai preti dell'orfanotrofio in cui era stato abbandonato. L'evento traumatico però, in Permunian non genera alcuna necessità drammatica. In lui anche il fatto più atroce si ridicolizza. Vediamo sfilare, in questa vicenda umana, travestiti e suore, puttane e intellettuali di provincia, ovviamente, come sempre nei libri di Permunian, fin da Cronaca di un servo felice e poi via via tutti gli altri, La casa del sollievo mentale (2011), Il gabinetto del dottor Kafka (2013), Chi sta parlando nella mia testa? (2018), si tratta della provincia veneta, il suo paesaggio natale che funge come concentrato di tutta la follia del mondo. E qui ritorniamo all'idea iniziale, appunto quella del «grottesco». Ecco, io credo che in Permunian ci sia la volontà di fare emergere dall'oscurità, di portare in superficie queste pitture di nature umane. Portare in superficie, voglio dire, ciò che nella natura umana si tende a nascondere, di cui si prova spesso vergogna, e non mi riferisco solamente alle ossessioni e alle manie (molto spesso sessuali) che agitano ciascuno dei personaggi, ma anche le loro miserie, il loro dolore, i loro traumi, le loro ferite. Ma il nodo è esattamente questo.

Portare tutto a galla vuol dire per Permunian attribuire all'oscurità della vita e della natura umana una forma inevitabilmente comica, ridicola, qualcosa che appare talmente assurdo, osceno, da sembrare una rappresentazione più vera del vero.

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