«Negli abissi dei fiordi do la caccia allo squalo È il nostro lato oscuro»

Eleonora Barbieri

Morten Strøksnes, lo squalo della Groenlandia esiste davvero? «Esiste, sì. Ed è anche abbastanza diffuso nella zona, probabilmente ce ne sono milioni». La «zona» sono le Lofoten, in particolare l'isoletta di Skrova, nel Vestfjorden, dove Strøksnes, giornalista e scrittore norvegese, gira, in compagnia dell'amico Hugo, a bordo di un piccolo gommone. Vanno a caccia dello squalo della Groenlandia.

Un bestione così descritto da Strøksnes nel suo Libro del mare (appena pubblicato da Iperborea, pagg. 330, euro 17,50, lo presenterà domenica al Salone di Torino): un essere ancestrale, che nuota negli abissi, più grosso dello squalo bianco; può raggiungere i sei-sette metri di lunghezza, i milleduecento chili di peso e «i quattro o addirittura cinquecento anni di età»; è voracissimo, tanto da divorare i suoi fratelli e sorelle nell'utero materno, è quasi cieco perché ha gli occhi infestati da parassiti simili a vermi e i suoi denti sono «come quelli di una smisurata tagliola, solo molti di più». Che senso ha andare a caccia di un animale del genere, su una piccola barca nel mare aperto e pericoloso del Vestfjorden? Più di uno, spiega Strøksnes, in questi giorni in Italia: «C'è l'aspetto pratico, la missione da portare a termine. E poi quello sempre più simbolico. In questa caccia c'è qualcosa di oscuro, che ha a che fare con il nostro potenziale di uccidere e dominare la natura».

I due «pescatori» hanno iniziato l'inseguimento quattro anni fa e Strøksnes ha in programma di tornare a Skrova a luglio, quando sarà messo in scena lo spettacolo teatrale tratto dal suo libro. Per la caccia allo squalo invece aspetterà, forse la fine dell'estate: «Dipende da Hugo: è la sua ossessione, non la mia. A lui non piacerebbe che la chiamassi ossessione, ma la è». Lo zio e il padre di Hugo, che vive in una antica stazione ittica ristrutturata con la moglie ed è un artista, erano uomini di mare: «Sapevano tutto del mare, non solo dello squalo della Groenlandia e dei mostri marini». Lo racconta come un essere spaventoso... «È vero, ma non lo credo. Fra noi e lo squalo nel corso del libro si sviluppa una relazione: all'inizio è un mostro, una bestia feroce, ma in realtà è una creatura dell'evoluzione, molto impressionante. È in giro per gli abissi da centinaia di milioni di anni, non è solo un brutto mostro. Può essere che dentro di noi sia rimasta la paura ancestrale del mostro, ma è irrazionale avere paura dello squalo: ne uccidiamo milioni ogni anno, non sono loro pericolosi, siamo noi». Dice anche, Strøksnes, che forse la proposta di Hugo era solo la «scusa» che cercava da anni per raccontare gli abissi del mare, sotto i 500 metri di profondità, dove vivono «creature assurde, stupefacenti, che si sono adattate al buio e a una pressione enorme dell'acqua», e che conosciamo ancora pochissimo. I mostri delle mappe antiche, come quelli immaginati da Olaus Magnus nella sua Carta marina. Come lo squalo della Groenlandia, che fa «ubriacare» (infatti il titolo in inglese è Shark drunk): «Nel sangue ha una tossina per cui, se lo mangi, ti rende come un ubriaco, o un drogato».

Peraltro la carne è immangiabile: «Una volta un islandese me l'ha portata da assaggiare: un sapore chimico tossico mischiato con la pipì, perdoni il francesismo. La cosa peggiore che abbia mai mangiato». La caccia prosegue, mare permettendo.

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