Intanto lui lo dice subito «Questo non è un brano politico, è una dichiarazione d'amore all'Italia, non parla dell'immigrazione e il protagonista potrebbe anche essere un italiano». Sarà un Sanremo importante per Francesco Motta, e non solo perché è il suo debutto festivaliero all'Ariston (lì ha già vinto due Premi Tenco). È una sfida per questo pisano di origini livornesi trasferito a Roma, che ha una bella pronuncia aperta ma toni gravi, e con la voce dà decisamente forza ai testi. Con il suo Dov'è l'Italia rappresenta l'ala più «nuova» e più ispirata del cantautorato italiano, quello che non si intrappola nella trap e derivati ma mantiene la centralità della canzone. Per capirci, sa scrivere i testi. E bene. «Però non ho mai lavorato così tanto a un singolo pezzo», spiega nella sede della Sugar con quel volto che tradisce molto poco le emozioni. Dopotutto sono le sue canzoni a spiegarle.
Baglioni ha detto che la sua canzone è nata a Lampedusa.
«Di sicuro è stata scritta in viaggio e, a dare la scintilla, è stato anche il capitano del caicco sul quale mi trovavo. Di solito scrivo al ritorno dai viaggi. Stavolta no. E Dov'è l'Italia è nata tra Lampedusa, New York, il Messico e Roma».
Tra i versi ci sono anche questi: «Come quella volta a due passi dal mare/Tra chi pregava la luna e sognava di ripartire».
«Faccio il cantautore e racconto quel che vedo e questi problemi sono tra i temi centrali di questo momento storico. Ma, ripeto, non è una canzone politica. È una sorta di disincanto innamorato, il racconto di un paese a volta maleducato».
Lei canta «Amore mio».
«È la prima volta che lo dico in un testo e non è stato facile arrivare a farlo. Ma è un brano fondamentalmente d'amore, anche se disorientato».
A proposito, la sua fidanzata Carolina Crescentini cosa ne pensa?
«Diciamo che siamo una squadra, riusciamo a capirci ed è molto bello. Anche se, a dire il vero, mi aiuta più lei a scrivere i testi di quanto faccia io con lei quando deve recitare. In questo periodo della mia vita ho voglia di fare un figlio, sento la forza di poter diventare papà».
Motta, scusi, che effetto le fa essere in gara al Festival di Sanremo?
«Dice che non dovrebbe farmi piacere?».
Per carità, ma in passato per molti cantautori sarebbe stato un peccato capitale.
«Ma va, io in realtà ne sono molto felice. Quando ho potuto, l'ho sempre seguito in tv. E mi consola che tanti grandi sono arrivati ultimi, come Vasco. Diciamo che è un pensiero rilassante per chi, come me, debutta ed è ovviamente teso».
All'inizio lei suonava punk.
«Quando si è giovanissimi, si cerca un nemico. Bisogna andare contro qualcosa o qualcuno, anche se esattamente non si sa neppure chi sia quel qualcuno. Poi si tolgono tutte le sovrastrutture e si rimane se stessi. Io sono rimasto me stesso e non posso andare contro me stesso».
Oggi cosa vuol dire essere punk?
«Oggi essere punk significa cercare la sobrietà».
E invece essere «indie», categoria musicale in via di estinzione?
«Prima significava avere un certo tipo di libertà, una libertà che spesso dipendeva dalla casa discografica. Ora si è ribaltato tutto. Io sono sempre più convinto che esistano solo canzoni belle o brutte e basta».
Esistono anche scelte coraggiose. Ad esempio lei va a Sanremo senza ripubblicare il suo disco Vivere o morire. Di solito capita il contrario.
«Sì: Dov'è l'Italia esce solo in formato digitale. Per me quel disco è completo, non c'era bisogno di aggiungere altro. Non voglio rimescolare le carte. Dov'è l'Italia è l'inizio di un altro percorso, magari ne faremo un 45 giri e senza dubbio lo canterò nel tour estivo».
Ha già provato con l'orchestra del Festival?
«Sì, musicisti meravigliosi. E il mio brano li impegna molto fino alla fine».
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