In questi giorni di celebrazioni della caduta del Muro, pochi hanno ricordato che i popoli dell'est si ribellarono sì per chiedere libertà e dignità, ma pure per riprendersi sovranità, che Mosca nel 1945 si era con la forza appaltata e aveva mantenuto per decenni, utilizzando i carri armati. Le piazze polacche, ungheresi, tedesche, cecoslovacche e rumene si animarono in nome di ideali nazionali e di richieste nazionaliste. Tanto è vero che i regimi comunisti accusavano i dissidenti di essere al soldo del «fascismo nazionalista» degli americani. Sono pensieri nati dalla lettura, per pura coincidenza temporale, del volume di Yoram Hazony, Le virtù del nazionalismo, che Guerini e Associati sta mandando in stampa, e cui mi era già capitato di parlare su queste colonne, al momento dell'uscita dell'edizione originale americana. Un libro di cui suggerirei la lettura a tutti coloro che interpretano il concetto di nazionalismo in senso negativo, quasi un sinonimo di autoritarismo e persino di fascismo, e si sprecano, in Italia e all'estero, anche a alti livelli istituzionali.
Hazony spiega al contrario che il nazionalismo è una virtù, nel senso aristotelico del termine, cioè che lo spazio della nazione è quello più naturale, sempre nel senso del grande filosofo greco, in cui una comunità politica possa crescere. Tanto più se questa comunità intende essere democratica, cioè vuole che la maggior parte dei suoi membri eserciti un controllo sulle sue sorti.
Non sembra infatti essere possibile, o almeno nella storia non si è mai presentata, una democrazia transnazionale, cioè che si estenda al di fuori dello spazio della nazione. Tanto più se questa democrazia prende poi le forme delle istituzioni parlamentari. Hazony, che è politologo e teologo assieme, mostra che la nazione, lungi da essere una creazione recente, come ritiene certa storiografia, affonda nelle radici della tradizione occidentale, cioè nell'Antico Testamento, dove il popolo ebraico è organizzato in nazione. Il nemico del popolo ebraico, nell'antichità, e nemico della nazione, è l'Impero.
In tal senso, nello schema di Leo Strauss dei tre capisaldi dell'Occidente, Atene, Gerusalemme e Roma, Hazony riscontra un problema, perché Roma, sia quella imperale che la cristiana, sono entrambe esperienze non solo incapaci di tutelare la nazione, ma che la combattono e cercano di sopprimerla.
Quale è il problema della forma impero? Per Hazony l'impero rompe il rapporto tra popolo e nazione, perché è necessariamente multi etnico. Poi l'impero si estende su spazi molto vasti, che non consentano ai popoli di esercitare il controllo, neppure su loro stessi. Per questo la forma impero è incompatibile con la democrazia: negli imperi solo una ristretta élite, concentrata al centro, tiene le redini, mentre la periferia è abbandonata a se stessa, un autonomia relativa che però fa scattare l'intervento autoritario del centro nel caso cercasse di rendersi indipendente dall'impero. E la contrapposizione nazione/impero appare davvero utile, se pensiamo che, anche nella storia europea, essa ha svolto un ruolo fondamentale ancora fino a 1919. Fino a un secolo fa, infatti, lo spazio europeo era organizzato non per nazioni ma per imperi; il britannico, il tedesco, l'austroungarico, il russo, l'ottomano, anche la Francia doveva essere considerato un impero, per quanto una repubblica. Solo dopo la prima guerra mondiale la storia europea è diventata una storia di nazioni, e in realtà solo dopo il 1989, visto che l'Europa d'oltre cortina era uno spazio imperiale dominato da Mosca, e quella occidentale uno, certo molto più libero, controllato da Washington - non a caso negli anni Settanta emerse la teoria della « sovranità limitata ». Quindi hanno torto tutti coloro che pensano siano state le nazioni e i nazionalismi a generare la prima guerra mondiale, che fu uno scontro di imperi, semmai impegnati a reprimere le tendenze nazionaliste al loro interno. Cosi come la seconda guerra mondiale fu provocata da Hitler, desideroso di creare uno spazio imperale europeo controllato da Berlino, e che quindi non può essere definito nazionalista. Hazony mostra che il nazionalismo è molto meno aggressivo degli imperi, e molto meno propenso alle guerre, o perlomeno quel nazionalismo sostenuto da forme democratiche, come lo Stato di Israele, secondo Hazony un esempio di come sia possibile far convivere una società etnicamente piuttosto omogenea, con una cultura dominante, una religione (la nazione ha sempre bisogno di una religione) e soprattutto con la democrazia.
Anche se non possiamo trasferire questa esperienza tout court nel nostro paese, dovremmo apprendere la lezione di Israele, perlomeno nel frenare le tendenze imperiali presenti nella Ue, anche esplicitamente, E soprattutto dobbiamo capire che il sentimento nazionale, il nazionalismo, non è l'anticamera dell'inferno: dove porta semmai, il tentativo di negare la nazione.
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