Cultura e Spettacoli

Orsi, boa, balene... sull'Arca di Proust

Ogni animale per lo scrittore francese rappresentava un sentimento: gelosia, viltà, amore. Il "Bestiario" di Daria Galateria

Orsi, boa, balene... sull'Arca di Proust

«Tolleriamo l'agonia di pecore, polli e buoi senza pensarci, perché necessaria al nostro piacere; e sono le uniche vittime incolpevoli che lasciamo sacrificare ogni giorno», scrisse Marcel Proust nel Jean Santeuil, romanzo incompiuto scritto da Proust tra il 1895 e il 1901. Così come detestava gli zoo, e perfino l'equitazione (perché cavalcare i cavalli?). Perché Proust ha sempre amato gli animali, o come sarebbe corretto dire «gli altri animali».

A sviscerare la passione di Proust per gli altri animali ci ha pensato un'insigne francesista come Daria Galateria (la quale si è recentemente occupata anche dell'edizione per La Nave di Teseo de I 75 fogli, il nucleo originario della Ricerca del Tempo perduto; che è stata moglie di un altro insigne francesista, Giuseppe Scaraffia, il quale definì sul Sole 24ore il mio saggio darwiniano su Proust L'evidenza della cosa terribile «il più interessante uscito negli ultimi vent'anni», cosa che mi offese molto, prima cosa era uscito di così interessante?).

Galline, polli, leoni, orsi, razze, perfino batteri, dentro Proust c'è tutto, come potrete leggere ne Il bestiario di Proust (Sellerio, pagg. 336, euro 15) e siccome Daria Galateria non è Daria Bignardi che vi parla dei libri che ha letto non potete perderla, è la Daria giusta da leggere.

Proust animalista, abbiamo detto, e non poco. Anche in questo, oltre a aver anticipato le neuroscienze di quasi un secolo (sia dal punto di vista della mente umana che dell'esperienza animale come coscienza, cosa a cui oggi sono arrivati i neuroetologi), è profondo e sensibile e non insopportabile come un vegano (il primo vegano famoso, come sappiamo, è stato Adolf Hitler).

Nel 1922, tre mesi prima di morire, Marcel prese un gatto in casa, ma dovette darlo via, per il bene del gatto: «Ho messo a confronto le gioie di avere degli animali così affascinanti, e l'orrore di farli morire in una stanza in cui brucia in permanenza la polvere antiasmatica Legras: ha vinto la pietà». Era d'accordo anche Céleste, la sua giovane governante: «Fremeva al pensiero che avessi solo potuto immaginare di tenere, in una stanza che non può mai pulire perché non mi alzo mai, degli animali che fanno pipì ecc. Ha ragione, è stato un momento di pazzia. Per consolarmi dei mici vivi mi procurerò i Dialoghi di Colette che non conosco».

I pipistrelli, che oggi nominiamo solo per il COVID o per Batman, ricevettero l'attenzione di Proust perché simbolo dell'omosessualità. Come ricorda la Galateria «già Leonardo, a sua volta dedito all'eros deviante, nel 1494 scriveva: Il Palpistrello, per la sua sfrenata lussuria non osserva alcuno universale modo di lussuria, anzi maschio con maschio, femmina con femmina, sì come a caso si trovino insieme usano il lor coito»). È anche il primo animale che compare nella Recherche, che cieco stride e svolazza nella stanza come simbolo del famoso stato d'animo del bacio mancato della mamma del Narratore.

In Proust ogni animale rappresenta una similitudine con l'essere umano e le sue emozioni, come per esempio la gelosia e il suo modo di prendere il soggetto progressivamente e poi definitivamente, quasi alla sprovvista. Come la gelosia di Swann che è «simile a una piovra che allunga un primo, poi un secondo, poi un terzo tentacolo, si aggrappò saldamente a quel momento delle cinque di sera». D'altra parte Odette «è un pesce senza memoria, che non riflette, che, finché vivrà nel suo acquario, andrà a sbattere cento volte al giorno contro il vetro continuando a prenderlo per acqua». Mentre Bloch, ci ricorda la Galateria, «è di quelle persone vili che vivono pigramente, come meduse a fior d'acqua, senza capire gli altri e quanto male possono fare con parole dette a caso». Fate mente locale su quante meduse avete incontrato fuori dal mare.

Dobbiamo anche pensare che Proust è stato, anticipando le neuroscienze, un nemico dell'intelligenza per come l'abbiamo definita noi umani a nostro uso e consumo (oggi basta vedere cosa si scrive ogni giorno sui social per capire che aveva ragione senza essere scienziati). A Marcel, come sappiamo, non interessava la memoria volontaria, evocata dal pensiero, ma quella involontaria, «e solo la memoria involontaria restituisce davvero il passato, con tutta la sua onda emotiva». È appunto ciò che chiamiamo «esperienza», e non c'entra con l'intelletto, e è anche l'unica forma di felicità possibile, essere senza pensiero (come anche rifletté un secolo prima Giacomo Leopardi osservando delle pecore).

Già nel Jean Santeuil (poi confluito nella Recherche), evocando il ricordo di un soggiorno in Bretagna con l'amante Reynaldo Hann, scrive: «Provavamo invidia per il serpente boa che impiega una settimana a digerire e che può dormire diversi giorni di seguito. Provavamo invidia per la lucertola che passa intere giornate su una pietra calda a lasciarsi penetrare dal sole. Provavamo invidia per la balena che compie tanti bei viaggi per l'Oceano Pacifico, per le foche che giocano in mare al sole, per i gabbiani che sfidano le tempeste e si lasciano portare dal vento (). Animali che non pensano a nulla!». Non pensare, unica ricetta di felicità.

Ma se volete pensare, dopo aver letto Proust, vi consiglio questo bellissimo bestiario proustiano di Daria Galateria, la Daria giusta.

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