Cultura e Spettacoli

Il pensatore francese venne nel nostro Paese per curare il "mal di pietra" con le acque. E a Roma si commosse

Il 1580 è per Michel de Montaigne (1533 - 1592) un anno particolare

Il pensatore francese venne nel nostro Paese per curare il "mal di pietra" con le acque. E a Roma si commosse

Il 1580 è per Michel de Montaigne (1533 - 1592) un anno particolare. Ha appena pubblicato la prima edizione dei Saggi, ha varcato per la prima volta la frontiera dell'Italia, ha goduto fino ad allora di una «salute forte e gagliarda», ma ora sa che non è più così e che, «avendo passato ormai da un pezzo i quarant'anni», si è «incamminato sulla strada della vecchiaia». In effetti, gliene mancano solo tre per compiere i cinquanta, un'età che per un lettore moderno quasi sempre coincide con una velleitaria corsa contro il tempo: c'è chi va in palestra, chi si spiana le rughe, chi si tinge i capelli... Montaigne odia l'esercizio fisico e per quanto la natura gli abbia donato un corpo gradevole, non è un uomo da società e non corre dietro le donne. Già a trent'anni si è ritirato in campagna e la compagnia che più gli piace è la sua. Invecchiare, insomma, fa parte della vita, ma ammalarsi gli fa orrore, anche se, confessa, è «un orrore» che provava soprattutto da sano, quando la fantasia si compiaceva ad ingrandire gli acciacchi... Adesso che non è più così, «la salute, per Dio!» gli capita di gridare al terzo attacco del male della pietra...

È proprio quest'ultimo, ovvero la calcolosi renale, ad averlo spinto fuori della Francia e in direzione dell'Italia, Paese dove abbondano i bagni e le piscine termali, l'ideale, dunque, per «passare le acque» e trovare un qualche rimedio ai dolori che lo affliggono. Così, proprio in quel 1580, si è messo in viaggio e ha contemporaneamente messo mano alle prime righe di quello che sarà il suo Viaggio in Italia (La Vita felice, a cura di Irene Riboni, introduzione di Armando Torno, pagg. 399, euro 19,50).

Che tipo di viaggiatore è Montaigne? Indefesso è la prima parola che viene alla mente, di quelli che non si tirano indietro e non si spaventano né di fronte agli imprevisti né di fronte alle fatiche: «Io sto a cavallo senza smontare, sebbene soffra di coliche, e senza annoiarmi, otto o dieci ore... Nessuna stagione mi è nemica, se non il calore intenso d'un sole sferzante... Mi piacciono la pioggia e il fango, come alle anitre. Il cambiamento d'aria e di clima non mi dà alcun fastidio; qualsiasi cielo è per me lo stesso». Curioso e voglioso di imparare, poi: «Non conosco scuola migliore per la formazione della vita che presentarle continuamente le diversità di tante altre vite, opinioni e usanze, e farle assaggiare una così continua varietà di forme della nostra natura». Inoltre, amante del viaggiare in quanto tale, del suo intrinseco piacere: «Se a destra è brutto tempo prendo a sinistra; se non mi sento di montare a cavallo, mi fermo. Ho lasciato qualcosa da vedere dietro di me? Ci ritorno; non è mai fuori della mia strada. Non traccio alcuna linea precisa, né dritta né curva».

Va detto infine che a Montaigne non piacciono i francesi all'estero, e proprio perché li conosce, se può li evita: preferisce le tavole «affollate di stranieri». Ogni usanza ha la sua ragione, dice, e quindi lo interessa e insieme gli piace. Non viaggia, insomma, per criticare gli altri usando il proprio metro nazionale di giudizio.

Il Viaggio in Italia, nota la sua curatrice, è stato un modello per quegli autori, da Goethe a Stendhal, che fra fine Settecento e metà Ottocento scelsero la stessa meta. È vero, anche se la sensibilità romantica trasformerà quello che, come genere, era un classico resoconto scientifico, in un qualcosa di più intimo e personale. Sotto questo profilo, Montaigne è un uomo del suo tempo, ma è anche uno che, non dimentichiamolo, ha intrapreso quel viaggio soprattutto per motivi di salute: «È una sciocca abitudine quella di star a raccontare quel che si piscia» sbotta ironico mentre è in Toscana. Ciò non toglie che alcune impressioni sono fulminanti, come quando nota che ci sono «contadini con il liuto in mano e fin alle pastorelle l'Ariosto in bocca. Questo si vede per tutta l'Italia». Se Firenze, Ferrara, Verona, Venezia lo colpiscono, Roma comunque lo commuove: «Conoscevo il Campidoglio e la sua posizione prima di conoscere il Louvre, e il Tevere prima della Senna». Fa parte della sua educazione, e quel passato è il suo presente: «Questa stessa Roma che noi vediamo merita di essere amata, alleata da tanto tempo e per tanti titoli alla nostra corona: unica città comune e universale... La sua stessa rovina è gloriosa e superba... Perfino nella tomba essa conserva dei segni e un aspetto di sovranità».

Dura 17 mesi il viaggio in Italia di Montaigne, e se si decide a rientrare è solo perché lo hanno nominato sindaco di Bordeaux e ne reclamano la presenza. Il male della pietra, purtroppo, non se n'è andato, ma in quel viaggio ha comunque capito che «bisogna imparare a sopportare quello che non si può evitare»..

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