Primo Levi, il secondo mestiere e la terza pagina

Primo Levi, il secondo mestiere e la terza pagina

C'è il «mestiere», come i giornalisti chiamano il proprio lavoro, che a volte è un ripiego, altre una vocazione, spesso un divertimento pagato... Poi c'è il «secondo mestiere», che per Eugenio Montale, il quale si sentiva prima di tutto poeta, era la professione che gli dava da vivere: il giornalista. E c'è «l'altrui mestiere», che sono le vere professioni - diciamo quelle serie, degli scienziati, ingegneri, astronomi... - dentro i cui recinti, ogni tanto, in maniera un po' invadente e curiosa, un giornalista mette il piede, e la parola. Quello che fece, con molto divertimento per se stesso e per noi lettori, lo scrittore e chimico Primo Levi (1919-1987). Il quale, appunto, fu anche grande giornalista, e i cui elzeviri reggono benissimo la prova del tempo. Negli argomenti e nello stile.

Basta rileggere L'altrui mestiere, il libro che contiene gli articoli che Levi pubblicò su quotidiani e riviste, ma principalmente su La Stampa, dal 1964 al 1984, uscito nel 1985 da Einaudi e che oggi ritorna in libreria, per lo stesso editore (con la recensione che all'epoca firmò Italo Calvino su Repubblica come prefazione e una nota di Ernesto Ferrero).

È vero. Levi s'avventura spesso in ambiti appartenenti a «altrui mestieri», e parla di zoologia (è appassionato di studi sul comportamento animale, e si consiglia il pezzo «La paura dei ragni» in cui ci spiega le ragioni ancestrali per cui molte persone sono più a disagio davanti agli aracnidi piuttosto che ad animali ancora più ripugnanti o pericolosi, come i serpenti), parla di scacchi (facendo un parallelo tra gli scacchi, cavallereschi e feroci, e la poesia, precisa e inesorabile), parla di astronomia (bello il pezzo pubblicato nell'imminenza dello sbarco sulla Luna nel luglio 1969, in cui si lamenta che d'ora in avanti l'astro di Dante e di Ariosto, conquistato dall'uomo, non sarà più oggetto di stupore letterario...) e parla moltissimo di glottologia e linguaggio (Levi è un maniaco di neologismi, dialetti, storia della lingua). Ma alla fine, Levi parla soprattutto di letteratura, di traduzioni, di libri, del Romanzo. Elogia la forza profetica de Il mondo nuovo di Aldous Huxley (che preferisce a 1984 di Orwell); cerca di rispondere alla domanda «Perché si scrive?» (propone nove risposte, e forse pensa a se stesso e ai libri sull'esperienza del lager quando cita il motivo «Per liberarsi da una angoscia»); risponde a un giovane lettore che chiede «Come si diventa scrittori?» dando ottimi consigli in materia (scrivere significa mettersi a nudo: se lo si fa con onestà si arriva lontano, altrimenti meglio lasciar perdere), e soprattutto, in molti pezzi, insiste sull'importanza dello scrivere in modo chiaro e comprensibile, non facendosi sopraffare dallo stile.

Attaccando pesantemente l'«oscuro» Pound («scrittore d'istinto, doveva essere un pessimo ragionatore», aggiungendo che forse aveva ragione il tribunale americano a giudicarlo mentalmente infermo), e suggerendo un ambiguo parallelo tra oscurità della parola e oscurità della vita, citando i due poeti tedeschi «meno decifrabili», Trakl e Celan, morti - secondo lui non a caso - suicidi. E quante riflessioni si possono fare, adesso, pensando alle fine che avrebbe fatto, da lì a qualche anno, Primo Levi.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica