Il Coronavirus ha picchiato duro in tutti i settori. Molto in quello del libro. In Italia, nel 2020, sono spariti 8 milione di copie. Che per un Paese in cui già si comprano pochi libri, e si legge ancora meno, è tantissimo. Però, ecco il punto, l'editoria non è morta. Anzi. L'impennata dell'e-commerce ha fatto recuperare verso la fine dell'anno buona parte delle vendite fisiche perdute. E in più le librerie, soprattutto quelle indipendenti, continuano a fare un grande lavoro di ricucitura fra i clienti più fedeli, anche portando i libri a domicilio. Il libro non più solo come prodotto ma anche come servizio. Dal food delivery al book delivery. Certo i soldi li hanno fatti gli store online. Ma le vecchie librerie hanno retto.
Ecco perché Roberto Cicala, editore e docente all'Università Cattolica di Editoria libraria e multimediale, autore del saggio I meccanismi dell'editoria. Il mondo dei libri dall'autore al lettore (il Mulino, pagg. 270, euro 24), è sì pessimista sulla situazione attuale - la metà degli italiani non legge neppure un libro all'anno, e in più il libro da anni soffre di un discredito sociale che lo rende qualcosa di noioso se non inutile - ma è ottimista sul futuro. Primo perché il libro resta la maggiore industria culturale italiana per fatturato, prima di musica e cinema, a livello di quella delle pay tv. Secondo perché i cambiamenti nel mondo dell'editoria, così veloci e trasversali, hanno completamente ridisegnato, rendendolo anche più appetibile, l'intero settore: che non è più come nel passato un mercato di massa, ossia pochi titoli forti per tanti lettori, ma una massa di mercati, vale a dire tante piccole nicchie. Terzo perché il libro (cartaceo, digitale e anche «liquido»: il successo dell'audiolibro che come quota di mercato ha superato persino l'e-book è la vera novità del 2020) di carta o meno poco importa - continuerà ad aprirsi, e raccontarci storie. Una cosa di cui non possiamo fare a meno.
Il segreto dell'ostinata tenuta del libro è nel suo essere un prodotto necessario, non un surplus. Vince non il libro più semplice ed economico, ma quello pensato, realizzato e comunicato meglio. Il libro non è un prodotto individuale, ma collettivo. Meglio lavorano, tutti insieme - lungo la filiera che collega l'autore al lettore - l'editore e l'editor che scelgono e selezionano, e poi il curatore, il traduttore, il grafico, il marketing, il librario, il bibliotecario..., e maggior successo di vendita avrà il libro.
Ed ecco il punto più interessante del saggio I meccanismi dell'editoria (ricchissimo di schede che analizzano alcuni casi esemplari, da Harry Potter a Elena Ferrante, da Calvino a Eco, dall'importanza delle copertine ai social). L'idea che a salvare il libro, al di là dei fan della filigrana o dei pixel, sarà il costruire l'oggetto-libro al meglio. La parola chiave è banale ma semplice: professionalità. E professionalità significa lavoro collettivo: di selezione, controllo, revisione. Editori non ci si improvvisa. E i bestseller non nascono per caso. L'analisi dei dati dice che in un mercato come quello che si sta profilando esistono grandi margini di guadagno.
L'editoria ormai è multitasking e multicanale. La vera sfida è capire quale canale sia migliore per portare il proprio libro al proprio lettore. Sfruttando gli strumenti che il lockdown ha affinato, cioè le community, i webinar, il crowdfunding, ma non da soli (agganciare migliaia di persone online serve a poco se nessuna di loro compra un libro). Semmai unendole al meglio con i tradizionali mestieri del libro.
E per il resto, il futuro, anche nel libro, passa dalla «sostenibilità» finanziaria.
Giusto fare libri per rendere più consapevoli i lettori e i cittadini. Ma ancora più giusto fare libri per rendere virtuoso l'intero sistema editoriale. «Non si fa cultura se non si fanno libro che permettono di guadagnare» diceva già Giuseppe Prezzolini.
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