Quando le canzoni nascevano in prigione

«Salve, sono Bob Dylan. Vorrei ordinare il cofanetto Goodbye, Babylon . Devo fare un regalo a un amico. Si chiama Neil Young». Immaginate la costernazione di Lance e April Ledbetter che da qualche anno fanno della riscoperta della tradizione etnomusicale americana il proprio credo. Andando decisamente controcorrente, decisero di digitalizzare l'analogico attraverso la Dust To Digital casa editrice e discografica nata per recuperare opere di grande valore storico-musicale-culturale della tradizione. L'ultima fatica della Dust To Digital è Parchman Farm , un libro-cofanetto (ordinabile per 35 dollari sul sito http://www.dust-digital.com) in cui si illustra l'importanza dei canti dei carcerati del famigerato penitenziario del Mississippi. Due cd incisi da Alan Lomax e da suo padre John, corredati da un libro di oltre cento pagine, con splendide foto d'epoca e testi di canti di lavoro.

Con quello che sta succedendo a Ferguson, Missouri, Parchman Farm è un'opera attuale. Perché, il penitenziario di stato di Parchman non era altro che un'enorme piantagione correzionale per afroamericani. Gli stessi canti raccolti dai Lomax, in larga parte litanie scandite dai colpi d'ascia o di piccone del caposquadra, non differiscono da quelli degli schiavi delle piantagioni. Cantare a Parchman aveva lo stesso scopo dei canti delle piantagioni: non perdere la cadenza e, dunque, non restare puniti; scambiare parole con i compagni senza farsi udire dai sorveglianti. Negli anni dell'integrazione razziale carceraria, lo stesso Alan Lomax scoprì una sorta di razzismo alla rovescia. Un ergastolano di colore a cui aveva chiesto come mai i carcerati non cantassero più gli rispose così: «Non ci si riesce. I bianchi non sanno andare a tempo». Illuminanti sono le parole di William Ferris, docente di Storia e Folklore del Sud alla University of North Carolina e autore del seminale Il blues del Delta (Postmediabooks).

"Questo cofanetto cattura le cupe condizioni di vita degli afroamericani nel penitenziario più famigerato della nazione e la musica che li aiutò a superarle. Per molti neri, ancor oggi, il mondo del penitenziario ricorda da vicino la vita nel mondo libero. Queste intense incisioni colgono la rabbia, la protesta e i sogni di quei carcerati».

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