Prefazióne, dal latino praefatio, onis, derivato di praefari: «premettere, dire prima», nel senso che nelle case editrici si dice prima il nome cui affidare una prefazione, poi si sceglie il libro cui appiccicarla. «Paolo Di Paolo! Facciamo firmare una bella prefazione a Paolo Di Paolo! Scrive così poco...». «Buona idea! Prefazione a cosa?!». «Boh, qualcosa gli troviamo...». Diminutivo: «prefazioncina», «prefazioncèlla», ma anche: «prefaziùncola».
Fra prefazioncine e prefaziuncole, l'editoria italiana vive di prefazioni. Adora le prefazioni. Vorrebbe stampare solo prefazioni! Firmate da premi Strega, da bestselleristi, da giornalisti tivù. Del tutto a caso. «A chi facciamo scrivere la prefazione alla riedizione di Achille Campanile?». «A Beppe Severgnini, cosa dici? Fanno ridere tutti e due...».
«La prefazione è quella cosa che si scrive dopo, si stampa prima, e non si legge né dopo né prima», diceva Pitigrilli. Il quale, essendo informatore dell'Ovra, non è affidabile. Infatti oggi le prefazioni sono le uniche che si leggono, e che fanno vendere. «Scusa, ma hai mai letto il Mestiere di vivere di Cesare Pavese? No, ma ho letto la prefazione di Nadia Terranova».
Anche George Orwell: i romanzi sono così così, ma le prefazioni di Walter Veltroni, o dei Wu Ming (è uguale), sono imperdibili.
Una prefazione non si nega a nessuno. L'importante è che a firmarle siano nomi mainstream che più mainstream non si può. Di tutto un pop. Unica regola, ferrea: per scrivere una prefazione l'importante è conoscere pochissimo, o per niente, il prefato. I classici non si leggono. Si citano.
Prefatori delle opere di Cesare Pavese, le cui opere dal 2021 sono fuori diritti: Paolo Di Paolo, Nadia Terranova, Claudia Durastanti, Eva Cantarella, Franco Arminio... E prima ancora: Paolo Giordano, Wu Ming, Donatella Di Pietrantonio, Tiziano Scarpa, Nicola Lagioia, Domenico Starnone...
Nicola Lagioia ha anche prefato Beppe Fenoglio. Silvia Avallone Madame Bovary di Gustave Flaubert. La Durastanti Dracula di Bram Stoker e Ghiaccio di Anna Kavan. La Terranova, oltre Pavese, Una donna quasi perfetta di Madeleine St John, Company Parade di Margaret Storm Jameson, il Quaderno proibito di Alba De Céspedes, Guerra di infanzia e di Spagna di Fabrizia Ramondino, La vacanza di Dacia Maraini, Piccole donne di Louisa May Alcott, Favola del castello senza tempo di Gesualdo Bufalino... e ci fermiamo qui. Di norma, le autrici donne sono prefate da donne, gli autori siciliani da siciliane, le antologie femminili e femministe tutte dalla Lipperini, quelle delle donne scrittrici o donne lettrici da Daria Bignardi. E quello che rimane fuori, dal Diario di Anna Frank alle lezioni di scrittura di Pontiggia, di solito lo danno a Paolo Di Paolo. «Ma va', dài. Paolo Di Paolo?! Mica gli daranno anche, chessò, Comisso?». «Sì, l'opera omnia».
L'importante è non affidare le prefazioni a specialisti, critici, critici militanti, ricercatori, italianisti, americanisti, francesisti. Semplici scrittori e giornalisti vanno benissimo.
I premi Strega, ad esempio: sono i più gettonati per prefazioni, introduzioni, postfazioni e curatele. Emanuele Trevi, che negli ultimi tempi ha firmato prefazioni a Philip Dick, Giuseppe Berto, Nathaniel Hawthorne, Herman Melville e Bernard Malamud (autore prefato anche da Marco Missiroli...), mettendo insieme due vecchie prefazioni ai libri di Rocco Carbone e Pia Pera, con Due vite appunto - ha addirittura vinto al Ninfeo. Sandro Veronesi invece ha prefato, tra gli altri, Alberto Moravia, W.H. Auden, Robert Louis Stevenson, persino Fabrizio De André e, per chiudere il cerchio, ha anche introdotto la riedizione del primo romanzo di Emanuele Trevi, I cani del nulla.
Io prefacio te e tu prefaci me. Da cui il detto: «Avere la prefacia come il c**o». E i romanzi con gli asterischi li preface la Murgia.
Tutti posso prefare tutto. La competenza sull'autore di cui si scrive è, come si dice, accessoria. Due giorni fa è uscita la riedizione del romanzo di Giovanni Arpino Il fratello italiano. Forse perché lavoro al Giornale e per racconti raccontati ho imparato a conoscere bene Arpino e soprattutto a conoscere chi conosceva benissimo Arpino, potrei citare dieci nomi di giornalisti o scrittori che su Arpino potrebbero scrivere prefazioni capolavoro. E invece l'hanno affidata a Mario Desiati. Bravissimo. Ma.
L'importante è che il prefatore-prefatrice sia un collaboratore-collaboratrice dei grandi quotidiani e dei magazine femminili. Ciò garantisce anticipazioni, stralci e recensioni. Esempi. Chiara Valerio ha firmato ultimamente le prefazioni di America oggi di Raymond Carver (per equilibrare l'introduzione è di Robert Altman...), Frankenstein di Mary Shelley, Paradiso di José Lezama Lima... Fra i prefatori più attivi il giro (ex) minimum fax - Nuovi Argomenti - Einaudi è il più operativo. Christian Raimo spazia dall'epistolario di Charles Bukowski ai racconti di John Cheever, da Donald Barthelme a Alan Pauls. Valeria Parrella da Elizabeth Strout ai racconti di Raymond Carver, dalle storie a fumetti di Milo Manara a Bonjour tristesse di Françoise Sagan. Lagioia a parte Fenoglio e Pavese - da Roberto Bolaño a Vonnegut, da Richard Yates a Francis Scott Fitzgerald. E Roberto Saviano da Dante Virgili (ma perch?!) fino a Pasolini...
Ma appunto stiamo parlando di prefatori famosi. Poi ci sono le quote rosa (moltissime), le quote queer (arriveranno i romanzi Lgbt prefati solo da Jonathan Bazzi) e infine le quote etniche. Il caso più fantastico (si può dire «più fantastico»?) è stato qualche mese fa - la riedizione Mondadori del romanzo del 1961 di Enrico Emanuelli Settimana nera, che assieme a Tempo di uccidere di Ennio Flaiano rappresenta una delle poche opere di narrativa sulla presenza italiana in Somalia e Etiopia. Prefazione? Di Igiaba Scego, scrittrice italiana di origine somala.
Domanda: in casi simili si dice «diritto di prefazione» o «diritto di prelazione»?.«L'unica prefazione di un'opera è il cervello di chi la legge», scrisse Fernando Pessoa in un abbozzo per una prefazione alle sue Poesie. Ma almeno Pessoa lo prefaceva soltanto Antonio Tabucchi.
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