Cultura e Spettacoli

Quei disegni con cui Kafka cercava una lingua "sacra"

Scarabocchi, schizzi, ritratti: tutte le opere, salvate da Max Brod, sono ora raccolte in un unico volume

Quei disegni con cui Kafka cercava una lingua "sacra"

«Sai, una volta ero un grande disegnatore, solo che poi ho cominciato a prendere lezioni di disegno da una cattiva pittrice, e tutto il talento si è guastato. Eppure a quel tempo, ormai anni fa, quei disegni mi hanno appagato più di qualsiasi altra cosa». Questa lettera a Felice, la fidanzata berlinese, del 12 febbraio 1913, come sovente in Kafka, più che spiegare disorienta. Intanto della «cattiva pittrice» non si ha notizia. Tuttavia si doveva trattare di un profondo legame attivo e passivo tra Kafka e il disegno. Specialmente in gioventù la sua attività di disegnatore era assai vivace. Sulla sottovalutazione di questo aspetto creativo di Kafka si era già lamentato Brod: «Finora nessuno ha ritenuto necessario osservare il parallelismo delle due visioni, di disegnatore e di narratore». A questa disattenzione ripara finalmente la pubblicazione integrale dopo decenni e decenni di cause giudiziarie per la complessa situazione dei diritti d'autore - di tutti i disegni di Kafka conosciuti, raccolti ora in una stupenda edizione, I disegni di Kafka - che esce in Italia da Adelphi (pagg. 368, euro 48) a cura di Andreas Kilcher, nella traduzione, come sempre, esemplare di Ada Vigliani, con osservazioni finali di Roberto Calasso, presumibilmente le sue ultime pagine pubbliche. Calasso era stato autore, nel 2002, di una intrigante biografia su Kafka, K., in cui ogni capitolo veniva emblematicamente introdotto da un disegno dello scrittore praghese a conferma della centralità della sua esperienza figurativa.

Quell'appagamento giovanile dipendeva anche dall'intenso clima artistico della Praga all'inizio del Novecento con il gruppo ceco-tedesco (una convivenza rara) degli Otto artisti figurativi: Max Horb, Emil Filla, Friedrich Feigl, Bohumil Kubita, Otakar Kubín, Willy Nowak, Anton Procházka, sorto dopo un'epocale mostra di Edvard Munch del 1905. Gli Osma, gli Otto si riunivano al Café Arco, munito di una fornita biblioteca di storia dell'arte, nonché di sala di lettura (altri tempi!), che divenne anche il caffè preferito da Kafka e dal suo amico Brod, che salvò i manoscritti e i disegni lasciatigli, disubbidendo a Kafka che lo aveva incaricato di bruciare tutto, mentre lui conservò persino i margini delle dispense universitarie colmi di schizzi dell'amico. Brod ricordava la sua commossa fedeltà all'amico: «Mi facevo regalare i suoi scarabocchi o li recuperavo dal cestino della carta straccia». In quegli anni a Praga operava Emil Orlik, che aveva introdotto nella sensibilità artistica della cultura praghese l'arte giapponese dopo un viaggio in Estremo oriente. Quelle incisioni, che intrecciavano figure sobrie, scarne a ideogrammi tracciati con inchiostro di china, influenzarono la modalità dei disegni di Kafka. L'altro punto di riferimento era Alfred Kubin. Kafka e Kubin, sempre grazie all'attività mercuriale di Max Brod, si conobbero personalmente con reciproca simpatia e sottile affinità artistica ed esistenziale. Ma nonostante questi contatti resta aperto il problema del distacco, ancorché parziale, di Kafka dall'attività del disegno, così appagante in gioventù. Eppure i disegni di Kafka invitano a una considerazione approfondita: lo scrittore praghese aveva percepito i mutamenti spirituali che esprimeva nei disegni e nei racconti, come Il digiunatore, un motivo che appena qualche anno dopo ritroviamo negli inquietanti disegni e sculture di Alberto Giacometti (1901-1966) poiché ogni maestro in questo caso, Kafka - anche se in incognito attrae allievi, come conferma la recente silloge di Tullio Pericoli, Un digiunatore di Franz Kafka (Adelphi), con testi e disegni, ispirata allo scrittore praghese. Quel digiunatore evoca una radice arcaica, misteriosa, allarmante sempre, che richiama l'Ombra della sera, la scultura etrusca di Volterra del Terzo secolo a.C., il grandioso archetipo dell'Occidente come terra della sera.

Il lascito di Brod almeno fino al 1909 conta 150 disegni circa. Successivamente la scrittura diventa l'attività decisiva anche se nei diari, nelle lettere e perfino nei racconti si incontrano di continuo disegni, schizzi, inattesi e perturbanti, in cui il testo si sblocca tramite queste tracce suggestive e intense. Come suggerisce il curatore: «L'immagine si manifesta proprio là dove la scrittura urta contro un limite». Ciò invita a nuove edizioni dell'opera kafkiana con i disegni sempre accanto ai testi (chi sarà il coraggioso editore?). Talvolta tra gli schizzi troviamo commoventi esercizi di ebraico, con quelle eleganti lettere, che segnalano la sua ricerca della lingua sacra, quella della salvezza. Inoltre Kafka era interessato alle edizioni (sporadiche) dei suoi testi, che, seguendo il gusto espressionistico del tempo, erano integrate da illustrazioni. Kafka interloquisce con gli editori, soprattutto con il giovane Kurt Wolff e in particolare a proposito della copertina della Metamorfosi del 1915, in cui Kafka supplica affinché non venisse raffigurato lo scarafaggio, che avrebbe sviato il senso comunque criptico - della novella più inquietante del Novecento.

Ora che schizzi e disegni li ritroviamo tutti uniti e commentati, si apre un capitolo veramente avventuroso su Kafka, sulla sua attività, sul suo mondo fantastico, sui suoi legami con la Praga magica e intramontabile anche e soprattutto grazie a lui scrittore e disegnatore.

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