Cultura e Spettacoli

"Racconto la famiglia: è la nostra prima patria"

La scrittrice francese in "Storia di un figlio" svela una saga lunga cent'anni. E un segreto...

"Racconto la famiglia: è la nostra prima patria"

Si può essere individui dimenticando di essere figli? Il destino familiare ci accomuna e gli apparteniamo, qualsiasi sia la nostra origine, e spesso non riusciamo nemmeno a comprendere quanto queste radici ci rendano quello che siamo. È il tema di molti dei romanzi di Marie-Hélène Lafon, professoressa di Lettere classiche a Parigi ma anche amatissima autrice di una dozzina di libri tutti ambientati nella natale regione dell'Alvernia. Si tratta di romanzi scritti in maniera sublime, in cui i dialoghi sono vividi e immediati quanto la prosa è lasciata decantare fino a divenire ipnotica e avvolgente. Per Lafon, la trama è un magnifico alibi, usato per scendere nelle profondità di anime conoscibili e familiari, ma legate da destini all'apparenza indecifrabili, tanto potenti da risultare metaforici. Anche l'ultimo romanzo, appena pubblicato in Italia da Fazi, Storia del figlio (traduzione di Antonella Conti, pagg. 160, euro 17), grazie al quale ha vinto il premio Renaudot, vede al centro una famiglia spezzata: il figlio, André, la madre, Gabrielle, una sorella Hélène, che cresce il ragazzo tra le adorate cugine, e un mosaico di segreti che copre cento anni di storia francese e tiene divisi madre e figlio come due colonne contigue di uno stesso edificio.

Il romanzo è la storia di un uomo o di un figlio?

«È una storia di figli e di padri, dunque di famiglia. Il terreno comune di tutti i miei libri e di ogni vita ».

Come ha scelto le dodici date che compongono il quadro narrativo totale?

«Ho concepito fin dall'inizio della scrittura una architettura in dodici date e in ordine non cronologico. Soltanto più tardi tuttavia ho deciso quali dovessero essere i giorni, i mesi, gli anni esatti. Il primo quadro è stato l'ultimo che ho scritto. E questa enorme porzione di tempo, un secolo, mi è toccata in sorte insieme alla storia medesima, che mi è stata confidata da una famiglia di amici di lunga data perché io potessi raccontarla ».

Dunque il segreto « d'altri tempi » racchiuso nel libro non è finzione inventata per la sua ambientazione di provincia.

«Non ho creato o deciso questo segreto: era il nocciolo duro della storia così come è giunta sino a me. Credo che il mondo reale sia sempre terribilmente creativo e ricco di immaginazione, molto più di quanto non lo sia io. Inoltre credo che i segreti si adattino a tutti i luoghi e a tutte le epoche: non sono così sicura che le famiglie di oggi, dove sembra si possa discutere più liberamente, siano più trasparenti che in passato. La trasparenza totale poi sarebbe spaventosa: la fine, per il romanzo».

Come definirebbe dunque la famiglia?

«Il nostro primo Paese, nel bene e nel male».

Dalla storia della propria famiglia dunque non ci si libera mai?

«Dubito che le famiglie e le loro storie possano mai essere vettori di libertà. Nel migliore dei casi, ci dotano di un viatico che ci mette in grado di fronteggiare i rischi insiti nella libertà: la sua ebbrezza e la sua vertigine».

E come definirebbe la passione, che spesso conduce fuori dal mondo familiare?

«L'amore uscito dai cardini, mandato in trincea. Nessuno tra i personaggi del mio romanzo sembra mai in preda alla passione. Nemmeno Gabrielle, che è priva di illusioni nei confronti del giovane Paul e nemmeno le coppie del libro, che vivono prima di tutto amori e non passioni».

Che cosa pensa dunque della libertà femminile ? Gabrielle è una «donna libera»?

«Direi di sì, nel senso che rifiuta la sorte che toccherebbe a una donna del suo ambiente e della sua epoca e si inventa un'altra vita. Prima di tutto attraverso una professione che le garantisce indipendenza, poi sganciandosi dal modello coniugale classico per osare praticare quello che nella prima metà del ventesimo secolo era considerato un nomadismo amoroso e sessuale molto trasgressivo. Il prezzo da pagare per questa libertà è chiaramente una immensa solitudine, a dispetto del bene incrollabile che le vuole sua sorella».

Forse allora il vero segreto del libro è questa donna, Gabrielle, e la sua personalità enigmatica e forte.

«In effetti Gabrielle sarebbe un bel nome per un segreto. Si tratta comunque di un personaggio opaco, misterioso, sprofondato in una solitudine scelta, che la separa e la protegge dallo sguardo degli altri. La comprendiamo davvero solo dopo la sua morte, quando entriamo nel suo appartamento e dietro le quinte della sua esistenza. Come tutti i personaggi dei miei libri, Gabrielle è intessuta con frammenti e briciole osservati, afferrati, raccolti da incontri, letture, film».

Come riesce a conferire a questi frammenti l'intimità tipica dei suoi personaggi?

«È un processo in cui sto di vedetta, in silenziosa attesa e un lungo rimuginare. Non faccio domande, non prendo appunti, annuso, scruto, mi lascio attraversare. Aspetto, aspetto molto. I paesaggi, i visi, i corpi, le situazioni sono infiniti.

La realtà è inesauribile».

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