"Il rap trasuda volgarità I Nomadi restano giovani perché sono all'antica"

Esce il 36esimo disco della band: «Giriamo ancora con il pulmino come negli anni '60»

"Il rap trasuda volgarità I Nomadi restano giovani perché sono all'antica"

In fondo Beppe Carletti ha 73 anni solo per finta. Parla come un debuttante, nonostante abbia iniziato a studiare musica a nove anni, nel 1955. E, a 56 anni dalla nascita della band, con i suoi Nomadi suona fisarmonica e tastiere in ben ottanta concerti all'anno, viaggiando come una trottola tra una città e l'altra: «Nella nostra zona, il modenese, sui camion in autostrada vedo spesso l'adesivo di Vasco e quello dei Nomadi uno di fianco all'altro, una cosa bella, vè, vuol dire che la nostra gente si identifica in noi». Quando dice il suo emilianissimo «vè», Carletti è soddisfatto. Quando, con lo stesso accento scandisce il «non va mica bene», è deluso. La sua forza è la positività, cosa che manca a due terzi dei giovanissimi che scorrazzano in classifica: «Fino a pochi anni fa ci cambiavamo sul camion di fianco al palco. Adesso va bene anche lo spogliatoio del campetto: vaglielo a dire ai ragazzi di oggi che hanno lo stylist». Già.

A proposito, caro Carletti, com'è la nuova musica che si sente in giro?

«Dice la trap e il rap? Sono un po' bacchettone. Muti ha notato che noi eravamo la patria della melodia e ce la siamo fatta rubare. Oggi sento uno che parla e parla, poi canta un ritornello facile e ritorna a parlare. Diciamo che non li capisco».

E i testi?

«Come faccio a spiegare ai miei nipotini il significato di canzoni dove si sente solo scopare e marijuana. Forse chi le canta e chi le trasmette dovrebbe sentirsi un po' più responsabile. A me hanno censurato per Dio è morto, mica per delle parolacce».

Radio Vaticana la trasmetteva, la Rai no.

«Al Cantagiro di Catania nel '67 ci hanno tirato i sassi. Ad Avellino un signore si è avvicinato e mi ha detto serio: Dio non è morto. Non ho risposto».

Il pop non sta tanto bene, praticamente c'è solo rap.

«Sarà soltanto un colpo di vento che va. Ma ha sentito l'ultimo di Springsteen? Quello è uno che canta, non che mostra due orologi d'oro come Sfera».

Dopo i Rolling Stones, i Nomadi sono la band più longeva del mondo.

«Loro del 1962. Noi del '63. Venivamo dalle balere, dove ogni tre canzoni dovevi fermarti per far bere il pubblico e consentire ai ragazzi di conoscere le ragazze. Nella bassa emiliana era l'unico modo per farlo!».

E' uscito il vostro album, il 36esimo, che si intitola Milleanni: è un programma di durata della band?

«Augusto Daolio (il cantante cofondatore della band, scomparso a 45 anni - ndr) diceva i Nomadi sono come l'uomo mascherato che non muore mai».

Nel disco c'è una versione inedita di Ma noi no, che lui cantò proprio nel '92.

«La nuova versione è un provino saltato fuori per caso e mi è piaciuto molto. Ai nostri concerti il pubblico grida sempre Augusto, Augusto come se fosse ancora qui, nonostante se ne sia andato 27 anni fa».

Nel brano c'è un duetto virtuale con il vostro nuovo cantante, Yuri Cilloni. Cosa chiede a chi entra nel mondo Nomadi?

«Di divertirsi».

Perché?

«Perché se ci divertiamo noi, si diverte anche il pubblico. Una band è come una squadra di calcio: conta molto lo spogliatoio».

Qual è il vostro spogliatoio?

«Il pulmino per le trasferte e la cena prima del concerto. Facciamo una battuta dietro l'altra, ci divertiamo da matti, vè».

Il pulmino?

«Proprio come negli anni Sessanta! Io sono all'antica ma sa che c'è? Visto cosa succede intorno a noi, mi piace esserlo».

Ormai le band sono sempre meno, praticamente sparite.

«Mah c'è molto arrivismo personale, vedo tanti gruppi con il cantante che al primo successo se ne va lasciando a spasso gli altri tre o quattro».

Ci ha mai

pensato?

«Mai. Con i Nomadi faccio quello che voglio, suono quando e come mi pare. Ho realizzato il mio sogno e non farei cambio con nessuno. In fondo siamo partiti in tanti, ma solo in pochi siamo arrivati fin qui».

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