Alla ricerca di "Isolitudini". L'atlante avventuroso dei rifugi dalla modernità

Da Salgari a Stevenson a Mishima, Massimo Onofri ci porta in un viaggio dentro la felicità della lettura

Alla ricerca di "Isolitudini". L'atlante avventuroso dei rifugi dalla modernità

In La voce delle onde, Yukio Mishima racconta dell'amore del povero pescatore Shinji per la dolce e ricca Hatsue, un amore, come dire, imballato e/o incapace a manifestarsi perché nel villaggio di Uta-jima, dove il giovane spasimante vive, non c'è niente e nessuno che possa dargli un'educazione sentimentale: «In città, i giovani apprendono facilmente dai romanzi, al cinema, le maniere di amare, lì invece non c'era alcun modello pratico da seguire». Nel suo Isolitudini (La nave di Teseo, 492 pagine, 23 euro), Massimo Onofri definisce questa osservazione di uno scrittore «così estetizzante» qual è Mishima, «la più candida dichiarazione di fede nei confronti dell'arte che si potesse mai immaginare». Ha ragione, ma vale anche per lui, perché raramente come in questo suo libro capita di imbattersi in una passione letteraria che è una sorta di sublimazione della vita, non la vita come un romanzo, ma i romanzi come una moltiplicazione e diversificazione all'infinito di quell'unica esistenza che ci è data in sorte. Va da sé che parlando di romanzi intendiamo i bei romanzi...

Non a caso Isolitudini riconosce a Emilio Salgari «la più avventurosa e plausibile, forse la sola innocente - proprio perché puerile - araldica dell'onore che ci avrebbe regalato il Novecento» e ne fa un Pessoa «prima di Pessoa per il suo speciale modo di vivere tante altre vite» e questo riconoscimento è tanto più sorprendente se, come nel caso di Onofri, proviene da quel milieu universitario, professorale, che ha a lungo liquidato Salgari, e nella maggioranza dei casi continua a farlo, come un prodotto dozzinale, se non di scarto, un fenomeno al più di costume, ovvero di mal costume...

Salgari si tolse la vita «come un antico samurai», scrisse suo figlio Omar e Mishima fece altrettanto e senza stare a ricamarci sopra troppo è difficile non cogliere in esistenze e in talenti così diversi un'identica insoddisfazione verso il reale, la pesantezza del reale, che in un caso si trasformerà in resa incondizionata e nell'altro in sacrificio rituale. È un po' come lo scatenarsi di quel «demone nella bottiglia» di un racconto di Stevenson, altro autore caro a Onofri e la cui Isola del tesoro gli appare come un antidoto proprio alla disperazione del vivere che spesso risucchia anche il più vitalista degli scrittori: «Se la letteratura, talvolta, può tradursi in felicità, c'è forse un'esperienza più felice di quella che si può fare con L'isola del tesoro?». Del resto, le «isolitudini» che fanno da titolo al libro, trovano proprio qui la loro più brillante consacrazione: «È con questo venturoso romanzo che l'isolitudine come condizione sentimentale ed esistenziale può mutarsi in luminosa e smemorata utopia, là dove, precipitati noi come per miracolo dentro quel libro, avvertiamo che la vita potrebbe essere anche corretta e tutto il dolore finalmente redento, almeno per qualche ora, poco importa se del tutto illusoria». Ci vuole qualcuno che sappia scrivere perché, come Stendhal, si possa dire: «Mi misi a leggere e fui felice».

Isolitudini ha come sottotitolo Atlante letterario delle isole e dei mari e spiega bene ciò che il neologismo un po' forzato che lo introduce, vorrebbe significare. Perché rimanda alla solitudine del lettore, che non è tanto o solo fisica, ma esistenziale, ai luoghi che più la incarnano e insieme la realizzano, la dimensione ridotta e separata di un'isola e il mare che le fa da corona e da confine, la delimita, ma non per questo la limita, e in fondo la esalta, concedendole il privilegio di una superficie concreta in mezzo a una massa liquida. A meno che, come accadde nel 1831 all'isola Ferdinandea, di risommergere ciò che all'improvviso il Mediterraneo aveva fatto emergere. «All'evento prodigioso - scrive Onofri - fece seguito qualcosa di surreale, ovvero l'improvvida bramosia della politica: il Regno delle due Sicilie ne proclamò l'annessione; quello d'Inghilterra ne prese addirittura possesso; il re di Francia inviò un brigantino a presidiarne le acque. Una disputa internazionale, però, finita nel nulla: nel dicembre dello stesso anno, infatti, l'isola Ferdinandea, così com'era emersa, sprofondò di nuovo negli abissi. Grande è la vanità degli uomini, la loro futilità. Ancora più grande quella degli Stati».

Diceva Paul Morand che «le isole sono l'unico rifugio possibile per gli aristocratici della vita». Aveva ragione e questo libro nel dare conto persino di quelle immaginarie si rivela una possibilità di fuga rispetto alla massa e alla modernità di massa, sempre più tecnicamente interconnessa, sempre più totalitaria nella sua volontà di uniformare, unificare, comprimere, ridurre. Già, la possibilità di un'isola come controveleno all'orrore del futuro. Anche il mercuriale Cioran del Taccuino di Talamanca scritto alle Baleari se n'era accorto: «Queste isole dove il tempo non ha più corso, dove sussiste solo il presente, se sussiste».

Scandito in blocchi, la Grecia e l'Oceano Indiano, l'Estremo Oriente e il Grande Nord, gli estremi Poli e i Tropici tristi e euforici, Isolitudini è un regesto di nomi, luoghi, fatti e gesta sorretto da un'erudizione infinita, senza essere per questo mai pedante. È una sorta di atlante onirico che si può anche consultare a seconda delle preferenze, climi caldi, passioni spente e passioni fredde, deliri alcolici e paradisi artificiali.

Per quanto Onofri affetti lo spleen demaistriano del viaggio attorno alla propria stanza, si capisce benissimo che molta della letteratura da lui raccontata è anche fatta di paesaggi da lui visti, il meglio di quella narrativa di viaggio che negli anni fra le due guerre mondiali si rivelò in Italia come un genere, i Comisso e i Cecchi, i Praz e i Savinio, la prosa d'arte che nel tempo si sarebbe imposta da noi come l'unico romanzo possibile a fronte dell'impasse creativo di quello tradizionale, divenuto ormai ora coma profondo, ora ernia ombelicale, ora diarrea sempre più liquida. Onofri c'insegna che navigare necesse est, l'unico modo perché sia necesse anche vivere.

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