da Cannes
Che cos'è che non funziona in Rodin di Jacques Doillon, ieri in concorso a Cannes? Vincent Lindon ce la mette tutta nell'interpretare la grandezza artistica dello scultore e la sua natura privata, un misto di dedizione al lavoro, egoismo e libidine. I costumi e la ricostruzione d'epoca sono accurati. Eppure, l'insieme resta inanimato e le figure di contorno, si chiamino Cézanne, Monet, Rilke, risultano sbiadite, come appiccicate... Il regista inizialmente aveva pensato a un documentario, poi ha optato per un film recitato, ma il risultato è qualcosa a metà e non convince né da un lato né dall'altro.
Doillon, per sua ammissione, ha cercato di trasmettere allo spettatore la carnalità propria di quell'artista. «Nei miei film cerco di far parlare i corpi dei miei personaggi e questo spiega perché ho scelto Rodin come soggetto. Le sue opere incarnano una carnalità che ha a che fare con la terra, con la fisicità, il carezzare, il possedere». Tutto ciò è presente nel film, specie nelle scene in cui Lindon-Rodin lavora alla propria opera, ma è l'altro aspetto, quello privato, sentimentale e sessuale, a farne le spese: un orso barbuto e goloso in cerca di miele femminile.
Lindon regge Rodin sulle sue spalle, come fosse un toro nell'arena, un Rodin tanto convinto del proprio valore, quanto in difficoltà quando si tratta di spiegarlo ai critici che non lo capiscono.
Il film lo vede quarantenne avere il suo riconoscimento pubblico e sessantenne dedicarsi al Balzac, la statua che sarà il punto di partenza della scultura moderna. In mezzo c'è la sua storia d'amore con Camille Claudel, allieva, musa e amante e poi presenza assente. SS
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.