Saman e le altre. La cui libertà non sappiamo proteggere

Saman e le altre. La cui libertà non sappiamo proteggere

Tutto cambia quando arriva l'orrore, il delitto che approda in televisione. Come nel caso di Saman Abbas, la ragazza pachistana scomparsa a Novellara.

Solo quando si arriva al delitto, al corpo scomparso o ritrovato, la condizione di molte giovani donne che magari vivono a solo qualche piano di distanza da noi diventano palesi. Eppure Saman somiglia a molte sue coetanee, figlie di genitori pakistani o marocchini, egiziani o bengalesi, che vorrebbero vivere esattamente come le giovani italiane con cui sono andate a scuola, o che incontrano per strada. Per questo si scontrano con le loro famiglie, con tradizioni che trasportate nel nostro mondo si rivelano per quello che sono, sostanzialmente lesioni dei diritti umani. La cronaca però rivela solo la cima di un iceberg, è solo l'ombra dell'elefante che sempre più ingombra la stanza dell'integrazione, che non può essere lasciar trapiantare in Occidente pratiche che dovrebbero essere inaccettabili ovunque. Quante sono le Saman senza nome che vivono in Italia?

A questa domanda prova a dare una risposta la giornalista Annalisa Chirico con il suo libro Prigioniere. Saman e le altre (Piemme, pagg. 160, euro 16,90). Il volume mette il lettore difronte a moltissimi casi dimenticati. Alcuni nella loro crudezza fanno accapponare la pelle. Ma al di là della cronaca e dei fatti giudiziari a pesare sono molto di più le riflessioni della Chirico sul nostro atteggiamento generale.

Come sottolinea Chirico con disarmante semplicità: «La Costituzione italiana va difesa e praticata, non bastano le dichiarazioni di principio, tanto solenni quanto inutili... Non c'è spazio per giurisdizioni parallele».

Solo che invece spuntano continuamente cortocircuiti gravi che riguardano la società ma anche lo Stato. C'è chi immagina assurdi sconti per «il quadro culturale» di provenienza di chi commette violenze sulle donne, ci sono situazioni in cui la nostra cultura del gender passa il tempo a ragionare di asterischi e schwa mentre ragazze vengono deportate all'estero verso matrimoni forzati.

Si confonde la libertà religiosa con la protervia di un radicalismo islamico che si finge religione o la sopravvivenza di rituali quasi tribali che poco hanno a che fare con Allah e molto ha a che fare con la violenza. Non esistono ricette facili per risolvere il problema. Di certo non si può girare la testa.

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