Cultura e Spettacoli

Scarpe "animalissime", mosche e dialetti. La guerra dei Gadda

Pubblicate le lettere di Carlo Emilio e Enrico: patrioti, affiatati e (entrambi) ottime penne

Scarpe "animalissime", mosche e dialetti. La guerra dei Gadda

Centoventuno fra lettere e cartoline (è solo una selezione fra le migliaia esistenti), quasi tutte inedite, scritte durante la Prima guerra mondiale da Carlo Emilio Gadda alla madre Adele Lehr, alla sorella Clara e al fratello Enrico, ma anche dei famigliari a Carlo. Un lavoro di trascrizione di anni, perché la maggior parte delle carte, oltre a quelle provenienti dall'Archivio Arnaldo Liberati di Villafranca di Verona, sono conservate al Gabinetto Vieusseux di Firenze, nell'Archivio contemporaneo «Alessandro Bonsanti» e sono state restaurate, dopo i danni dell'alluvione del '66, solo nei primi anni Duemila. Un dossier iconografico ricchissimo, con diverse foto scattate dallo stesso Carlo Emilio o da Enrico (l'archivio di Arnaldo Liberati, fiero custode di gemme gaddiane, possiede oltre 200 negativi su vetro di fotografie scattate in trincea: immagini inedite di alpini, campi di battaglia martoriati dai bombardamenti, reticolati, «tane», dall'Adamello ai monti attorno all'Isonzo, assieme agli scatti «di volo» di Enrico). Cartine geografiche dei «Luoghi della guerra di Gadda», per orientarsi negli spostamenti. E tre dettagliatissimi alberi genealogici delle famiglie Gadda, Lehr e Ronchetti-Fornasini per dipanare il «gomitolo degli zii e delle zie, dei consuoceri e dei consobrini - scriverà il Nostro nell'Adalgisa - dei figliocci e delle madrine, dei nipoti Pieri o Carli e delle Carlotte cognate, dei cugini secondi e terzi e delle cugine quarte e quinte». Più 120 pagine di commento al carteggio. E tre curatori: Giulia Fanfani, Arnaldo Liberati, Alessia Vezzoni. Ed ecco a voi, La guerra di Gadda. Lettere e immagini (1915-1919) (Adelphi, pagg. 425, euro 30).

È un'opera stupenda (non solo per feticisti gaddiani) che assieme al Diario di Caporetto e al Giornale di guerra e di prigionia (di cui è in preparazione una nuova edizione con taccuini ritrovati, a cura di Paola Italia, sempre per Adelphi) racconta dall'interno, fra «terribili ansietà», piccole gioie (ogni volta che a uno di loro arriva una lettera dell'altro), raccomandazioni (soprattutto di Carlo Emilio a Enrico, perché sia più parsimonioso e mandi a casa qualche lira in più...), notizie sulla guerra guerreggiata (pochissime: c'è la censura) e sulla vita quotidiana di trincea (fra gelo, noia, attesa, fame e il desiderio di combattere in prima linea...) i rapporti dentro la famiglia Gadda, che aveva a casa la madre Adele, insegnante, e una figlia, la fragilissima Clara; e al fronte i due fratelli: Carlo Emilio, che allo scoppio della guerra ha 22 anni, e Enrico, di tre più giovane, entrambi nel 1915 iscritti al Politecnico di Milano, entrambi attratti dal movimento interventista, entrambi volontari: il primo all'inizio nei Granatieri («Fra i quali esiste il massimo buon umore, salvo me, e il minimo buon odore») e dopo pochi mesi sottotenente del 5° Reggimento Alpini; il secondo arruolato negli Alpini e poi pilota, dai primi mesi del '17, nell'Aeronautico: cadrà nell'aprile del '18 in un atterraggio al Campo di San Pietro in Gu, Padova.

Ecco: il legame fra i due fratelli, fatto di intensissimo amore, è uno dei motori narrativi del carteggio. Alla madre, Carlo Emilio chiede sempre di «Enricotto», a lui raccomanda parsimonia e calma, si dice orgogliosissimo (e un po' anche invidioso) per la Medaglia di bronzo al valor militare che gli viene assegnata nei combattimenti sul Monte Sperone nell'aprile del '16 ed è felicissimo del trasferimento in Aeronautica, che sa essere il suo desiderio più grande. E rimarrà sconvolto quando, al ritorno dalla prigionia in Germania, saprà della sua morte.

A proposito, dalle lettere (si legga quella alla sorella Clara, nell'agosto del '17) si capisce che anche Enrico - era un dono di famiglia -possedeva un'invidiabile verve nella scrittura: come nota Arnaldo Liberati, Enrico, amante del rischio e della velocità, è capace sulla pagina di trasformare una serie di incidenti di volo in un'irresistibile sequenza di gag, quasi partecipasse a una caccia alla volpe nelle brughiere d'Inghilterra...

E per il resto, ma è solo una conferma, il carteggio dimostra come già qui si formi il Carlo Emilio Gadda formidabile scrittore. La guerra è un punto di osservazione unico sui tipi umani, il Destino, il rapporto fra gli uomini. E un laboratorio strepitoso per affinare la capacità di osservazione, sviluppare l'abilità espressiva e sperimentare una lingua - quella gaddiana - figlia di tecnicismi, dialettismi e espressioni gergali che sotto le armi (dove «tutti i dialetti, tutti gli accenti d'Italia» deflagrano «nelle più divertenti imprecazioni») trovano una loro naturale esaltazione, fra scomode «scarpe animalissisme», le devastazioni degli shrapnel nemici, i «pacchi di bombe a mano, patapàm pùm putupùm che fanno un fracasso enorme senza danno alcuno» e il ricovero coperto di robusti pali di larice e sacchi di terra, ma tanto è «tutto perfettamente inutile: cosa che mi rende pazzo dalla rabbia, detta tana è piena di mosche come un'osteria di Cinisello».

Scorrere i «racconti» di Gadda dal fronte - al netto della tragedia della guerra, i morti e poi, dopo Caporetto, l'anno terribile di prigionia e di «orrenda vergogna» prima a Rastatt e quindi a Celle - è come essere precipitati, dal punto di vista linguistico, nelle sue più belle pagine romanzesche. Si legga - per l'arte del comico - il racconto alla sorella, il 9 maggio 1916 da Edolo, di una grottesca notte insonne nella baracca degli ufficiali; e - per l'arte del tragico - la narrazione in una lettera a mamma Adele del 30 giugno 1916 da Cesuna, Altopiano dei 7 Comuni, degli episodi di barbarie nemica visti in controluce alla «passata» del Lanzichenecchi nei Promessi sposi.

Due capolavori.

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