Scienziati contro "Grey's Anatomy"

Una ricerca: illude i pazienti che il recupero sia troppo rapido

Scienziati contro "Grey's Anatomy"

È un po' come la critica che si sente, spesso, ai vestiti che sfilano in passerella: vanno bene solo alle modelle. Poi alle donne «normali»... Che è un modo per lamentarsi, in realtà, non degli abiti impossibili da infilare (e portare), bensì delle modelle, non democraticamente, esageratamente belle. Ecco, così un gruppo di scienziati, in un ricerca pubblicata sulla rivista on line specializzata Trauma Surgery & Acute Care Open ha analizzato Grey's Anatomy, che è la regina delle serie tv del genere medical drama, mosso dalla «percezione» (così recita l'estratto dell'articolo) che «la rappresentazione nelle fiction televisive dell'ospedalizzazione dopo una ferita sia fuorviante».

Tradotto, gli scienziati che non somigliano al perfetto ormai ex protagonista Derek Shepherd e alla lagnosa ma brillante Meredith Grey e neanche al tormentatissimo (e adorabile) Alex Karev, proprio come le donne «normali» non somigliano a quelle che indossano veli striminziti in passerella, si lamentano del fatto che gli spettatori, dopo avere guardato una puntata di Grey's Anatomy con i loro beniamini che armeggiano in sala operatoria e hanno idee geniali per salvare la vita a pazienti con patologie incredibili e storie familiari da soap opera, si illudano di entrare in ospedale e vivere la stessa esperienza. In particolare per quanto riguarda i tempi di recupero che, secondo gli studiosi un po' rosiconi, non corrisponderebbero affatto a quelli normali.

La ricerca ha preso in esame 269 puntate delle prime dodici stagioni; e ha confrontato i traumi subiti da duecentonovanta pazienti (per fiction) con quelli reali, vissuti da 4.812 pazienti registrati nel National Trauma Databank del 2012. Risultati: il tasso di mortalità nella serie di Shonda Rhimes è molto più elevato che nella realtà (22 per cento contro 7 per cento); nella fiction, il 71 per cento delle persone che si trova in una situazione di emergenza finisce direttamente in sala operatoria, mentre nella realtà questo accade solo nel 25 per cento dei casi (è logico: se non operassero mai, che medical drama sarebbe?); poi, nel post-operatorio, solo il sei per cento di chi ha subito un trauma viene trasferito in una struttura di assistenza, contro il 22 per cento di casi «veri», così come addirittura metà dei feriti gravi trascorre meno di una settimana nell'ospedale di Meredith &co, quando nella realtà questo capita soltanto a un ferito grave su cinque.

E in questo starebbe appunto l'illusione, per pazienti e familiari: che il recupero sia immediato, quasi miracoloso, mentre nella realtà avviene in modo molto più lento e faticoso. Però gli autori ribadiscono che, nella fiction, serve sempre l'«eccezionalità». Anche a scapito delle aspettative, che sono destinate a essere tradite per conto proprio...

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