Cultura e Spettacoli

Surrealismo e magia incantano l'arte dell'altra Venezia

Splendida esposizione al Guggenheim. E poi Anselm Kiefer e Anish Kapoor...

Surrealismo e magia incantano l'arte dell'altra Venezia

Il calendario della Biennale di Venezia scandisce il tempo dell'arte, e così in Laguna si accavallano opening, eventi, mostre grandi e piccole, fondamentali e inutili. «Sai che espongo alla Biennale?». «Esponi alla Biennale o esponi a Venezia nei mesi della Biennale». «...».

E così, ad uso dei biennalisti di giornata, ecco una mappa per orientarsi nell'immenso mare artistico veneziano.

La prima mostra-evento, imperdibile, è Surrealismo e magia al museo «Peggy Guggenheim», uno dei luoghi più belli della città, insieme con la Terrazza di Ca' Giustinian, sede della Biennale. Curata da Graina Subelyte, con circa 60 opere di una ventina di artisti - molte da collezioni private quindi di solito invisibili - è la prima grande esposizione interamente dedicata all'interesse profondo che i surrealisti ebbero per l'occulto e l'esoterismo. Di solito, surrealismo fa rima con «onirico». Qui invece spuntano tarocchi (che i maligni dicono avere la stessa affidabilità della psicanalisi), simboli alchemici, folklore celtico, sfingi, streghe, menhir. Tra l'altro è una mostra che si lega moltissimo con la Biennale curata da Cecilia Alemani stessa dea-guida: Leonora Carrington, della quale spicca una scultura in legno alta due metri, la Donna gatto, del 1951, che bisogna guardare girandoci attorno... - e che guarda anche ai nostri tempi. I surrealisti vissero fra una pandemia, la Spagnola, e due guerre, mondiali... C'è anche un incredibile De Chirico mai uscito da Stoccolma. La mostra occupa una dozzina di sale, si visita in 40 minuti, è compresa nel prezzo di entrata al museo. Voto: altissimo.

Una mostra che invece non c'entra nulla con la Biennale, anzi è l'anti-Biennale, e che vale tutta intera la Biennale, pur occupando solo una Sala - ma immensa - quella dello Scrutinio a Palazzo Ducale, è l'installazione site-specific di Anselm Kiefer. Tedesco, 77 anni, vero pittore, con un'opera-totale ha coperto completamente i dipinti delle gigantesche pareti battagliando con Tintoretto. Una pittura imponente, maschia altro che la fluidità della Biennale carica di materia nell'età della smaterializzazione, potente, novecentesca, distantissima dall'oggi. Il Salone si visita con un colpo d'occhio, può bastare un minuto, oppure un giorno. Voto: il massimo.

Altra mostra imponente, virile, materica, fra il culto e il mainstream, è quella di Anish Kapoor (l'altra sera scatenato alla grande festa di inaugurazione), divisa in due sedi. Alle Gallerie dell'Accademia (più tradizionale) e a Palazzo Manfrin (più scenografica), a sei minuti a piedi dalla stazione di Santa Lucia. Curata da Taco Dibbits, dà conto dell'intera gamma visionaria di Kapoor, fra pittura e scultura. Vale il titolo di un vecchio saggio di Mario Perniola: Il sex appeal dell'inorganico. Il resto, è tutto black Kapoor. Va vista.

Poi c'è la mostra dedicata a Louise Nevelson (1899-1988), scultrice ucraina naturalizzata statunitense, all'interno del nuovo spazio espositivo ricavato dentro le Procuratie Vecchie in piazza San Marco, appena finite di restaurare da David Chipperfield (altra ragione della visita), una stecca lunga 150 metri dalla Torre dell'orologio a Bocca di Piazza. Sono dieci sale con collage, sculture totemiche, legno e pittura nera. A Cecilia Alemani di sicuro piace: la Nevelson lottò per riscattare la figura della artista-donna. Fin da piccolissima voleva fare solo la scultrice (da cui il titolo: Non voglio che il colore mi aiuti). Il nonno possedeva una piccola falegnameria in Ucraina. Si visita in mezz'ora. Ingresso gratuito. Una sorpresa.

Infine, un gioiello. Nelle stesse Procuratie, sotto gli archi, affacciato sulla piazza, c'è lo storico negozio Olivetti, capolavoro dell'architetto Carlo Scarpa degli anni '50. Qui è aperta una piccola mostra, curata dal sempre elegante Luca Massimo Barbero, con disegni e sculture di Lucio Fontana e Antony Gormley. Per pochi. Ma vale la giornata.

Come si dice qui: «Buona Venezia».

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