La svolta di Achille Lauro "La trap? Da ragazzini. Adesso mi vesto di punk"

A sorpresa il disco «1969» punta sulle chitarre «Senza motivo le polemiche su Rolls Royce»

La svolta di Achille Lauro "La trap? Da ragazzini. Adesso mi vesto di punk"

Allora ogni tanto capita. C'è ancora qualcuno che spariglia le carte e cambia il proprio gioco sul tavolo della musica. Achille Lauro, per esempio. Fino all'anno scorso era quello della trap, anzi della samba trap, poi è passato dal Festival di Sanremo su di una Rolls Royce riempita di polemiche e adesso esce 1969, disco spiazzante e inatteso perché pieno di chitarre e riferimenti agli anni Sessanta e Settanta visti con gli occhi di un ventottenne. «Volevo una cosa più punk», spiega lui mentre taglia i ponti con il suo passato musicale: «Sono capitato nel rap e poi stato tra i tre che hanno sdoganato la trap in Italia (gli altri due sono Sfera Ebbasta e Ghali - ndr). Ora però mi sembra una roba troppo giovane, se hai più di ventitre anni non puoi ascoltarla, e io ne ho 28. Per dirla tutta, i miei amici ascoltano magari la Pausini ma non la trap».

In effetti era più strano un Achille Lauro trapper che pop punk come è ora, vestito di disperazione e decadenza ma anche leggerezza swing e, comunque, finalmente reale e aderente a se stesso.

«Sono cresciuto con un fratello che ascoltava di tutto, sono un minestrone di influenze ma con gli strumenti veri mi sento più vero», spiega allontanandosi dal cliché dell'autotune e dei testi volatili della trap: «C'è stato un boom iniziale ma ora non ha senso che tutti ci siano saltati sopra senza approfondire e conoscere. E poi l'Italia non è l'America, dove è nata la trap ed è un fenomeno culturale. Se Gucci Mane (trapper di culto che arriva da Atlanta - ndr) mi parla di certi argomenti, è credibile. Qui la trap mi sembra solo un genere adolescenziale con contenuti inesistenti. Per scrivere bei testi mica bisogna essere Bukowski, ma insomma...».

Mentre parla, Achille Lauro, che in realtà si chiama Lauro De Marinis, affonda nel vestito tinta avorio che indossa con la cravatta ma senza camicia (molto punk), trascina il suo accento romano e sguaiato (proprio come nei brani) e infiamma lo sguardo quando parla delle polemiche intorno a Rolls Royce, il brano presentato a Sanremo che per qualcuno sarebbe stato un inno all'ecstasy. «Invece di mettermi alla gogna, bastava chiedere».

Allora è un inno o no? «Ma quando mai. Ho dimostrato che, se voglio, parlo chiaro e non ho paura delle polemiche. Ma qui è tutto falso perché il brano parla di tutt'altro, parla di icone di stile». Però per un po' l'uomo della strada lo ha ritenuto un'apologia della tossicodipendenza. «All'inizio mi sono fatto una risata e, dopo Sanremo, mi sono concentrato subito sull'album. Ma il martellamento di Striscia la Notizia è stato brutto. Voglio dire, non è il mio programma preferito, ma ci sono cresciuto! Avevo paura che, per reazione, le radio smettessero di passare il mio brano e che la mia carriera andasse a rotoli. Sono sincero: io sono scafato e motivato, ma al mio posto forse un altro 28enne ne sarebbe uscito emotivamente distrutto».

O è un attore che neppure Robert De Niro oppure è credibile: «La droga è una piaga, chi la strumentalizza così forse non ne capisce davvero la gravità».

Di certo, il suo look agevola il luogo comune. Achille Lauro è pieno di tatuaggi (due anche sul volto), sulle nocche della mano sinistra c'è la scritta «Pulp», l'espressione è spesso svagata e la sua è l'attitudine spaccona e dolce di chi ha vissuto alla periferia sognando di arrivare al centro.

Non a caso, l'iconografia più forte di fine Novecento è il faro che illumina questo disco fin dalla copertina, con i volti di Marilyn Monroe, Jimi Hendrix, James Dean ed Elvis Presley: «Lui lo ascolto moltissimo, ha testi brevi, testi killer. Ecco, io sto lavorando proprio per andare in quella direzione: frasi essenziali che vanno al centro dell'obiettivo».

In 1969 ce ne sono molte, specialmente in Je t'aime con Coez e in Delinquente che «esprime un mood, non descrive una vita, esattamente come Rolls Royce».

E ora, in attesa di sapere se diventerà coach di X Factor («Sarebbe bello ma non ne so niente», quindi è probabile un sì) Lauro De Marinis per comodità conosciuto come Achille ha dimostrato di averlo, l'x factor. Confermando, oltretutto, che c'è vita oltre la trap.

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